Pubblici della biblioteca e diversificazione dell’offerta culturale. Spunti progettuali per il servizio bibliotecario
Biblioteche civiche torinesi; cecilia.cognigni@comune.torino.it
Per tutti i siti web l’ultima consultazione è stata effettuata il 6 maggio 2015.
Abstract
L’articolo offre alcuni spunti progettuali per l’azione culturale della biblioteca pubblica, mettendo in relazione la diversità dei pubblici con la necessità di differenziare l’offerta culturale: dall’informazione di comunità, alle attività per il tempo libero e la formazione permanente, in un quadro in cui i metodi e alcune buone pratiche presentate spaziano dall’ambito bibliotecario a quello museale. I concetti di mediazione culturale e partecipazione, che vengono presentati e discussi, costituiscono un punto di riferimento teorico per l’intera trattazione.
English abstract
This article makes suggestions for cultural activities in public libraries, putting in relation different audience with diversified cultural initiatives that can be proposed: from community information to activities for free time and long-life learning, in a context in which methods and best practices that are described concern both libraries and museums. Main theoretical topics of this paper are the concepts of cultural mediation and participation.
Pubblici
La biblioteca vive con il pubblico una relazione costante e trae da essa occasioni sempre nuove per ripensare e migliorare i propri servizi. Per questo motivo fidelizzazione e soddisfazione dell’utenza sono un punto di riferimento imprescindibile della propria azione culturale.
Negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza che misurazione della soddisfazione dell’utenza e analisi dei comportamenti del pubblico in biblioteca, attraverso strumenti qualitativi, sia con riferimento ai servizi sia per gli aspetti che concernono lo spazio, costituiscono un bagaglio di esperienza e di conoscenze da alimentare costantemente. Diventano cioè centrali e strategici per il progetto di sviluppo di ogni istituzione culturale. Particolarmente interessante da questo punto di vista è l’esperienza fatta dal Museo di Arte antica di Palazzo Madama a Torino, descritta da Carlotta Margarone e Anna La Ferla in un contributo recente in cui le due autrici raccontano quanto è stato sperimentato dall’apertura del Museo nel 2006 fino a oggi.
Sono stati utilizzati metodi diversi, dall’analisi dei comportamenti nel web all’intervista, dal questionario alle fotografie per raccontare come il pubblico si relazioni con le opere e i percorsi nello spazio e da ultimo, nel 2010, attraverso l’utilizzo della tecnologia RFID (Radio Frequency Identification) e il posizionamento di «rilevatori presso opere e varchi di accesso sono stati estrapolati i tempi di percorrenza, le soste e la molteplicità di percorsi creati da 100 visitatori».
Parlare di pubblico implica comunque declinare il sostantivo al plurale, come recita il titolo di una interessante pubblicazione recente. Il plurale infatti rende conto della molteplicità dei gruppi, dei bisogni, delle aspettative e dei comportamenti nei quali si riflette la complessità del contesto culturale e sociale attuale. La pluralità dei pubblici scaturisce da molti fattori diversi: l’appartenenza linguistica e culturale, le condizioni economiche e sociali, l’età, il genere, i gusti, ma anche le intelligenze. Howard Gardner nella sua teoria delle intelligenze multiple ne ha elencate sette: quella logico-matematica, la musicale, la linguistico-verbale, la cinestetica, la visivo-spaziale, l’interpersonale e l’intrapersonale, cioè la riflessiva. Ognuna di esse connota specifici comportamenti cognitivi e influenza gli approcci individuali rispetto alla comprensione del mondo e alla fruizione di cultura.
Anche specifiche contingenze, come la crisi economica e la pervasività della rete condizionano con altrettanta forza le vite dei singoli determinando diversi stili di vita, di comunicazione e visione del mondo. Le capacità e le competenze digitali degli individui influenzano la possibilità di interagire con il mondo e su di esse incidono anche le nuove povertà.
I pubblici modificano i propri comportamenti e i propri gusti, utilizzano nuovi strumenti di comunicazione e nuovi dispositivi di lettura, crescono nella capacità di navigare autonomamente nel mondo delle informazioni e chiedono una diversa capacità di risposta anche alla biblioteca, come ad altre istituzioni del pubblico e del privato.
Altri si trovano costretti, anche a causa della crisi strutturale in cui siamo coinvolti, a dover ridimensionare i propri stili di vita e le proprie ambizioni, vedendo crescere il rischio di trovarsi respinti nelle maglie di un analfabetismo di ritorno, oggi riscontrabile anche in ambito digitale.
Tempi di vita e orari si sono modificati, sono diventati meno rigidi e fissi e con essi si sono modificate le abitudini delle persone e le loro aspettative.
Nell’ambito di questa nuova concezione del tempo individuale, si confermano la centralità del sapere, dell’intelligenza collettiva e connettiva, l’importanza delle classi creative, che si esprimono fondendo lavoro, studio e gioco. Tutto questo genera nuovi comportamenti nelle persone, nuove abitudini, non più solo bisogni, ma desideri, nuove forme di pensiero e nuovi linguaggi. Crescono il nomadismo e il bisogno di fare esperienze che siano rilevanti anche dal punto di vista dell’impatto emotivo, che coinvolgano il singolo in percorsi nuovi.
È cresciuta anche la fragilità dei pubblici. La perdita del lavoro e del proprio status sociale determina nuovi comportamenti e nuovi utilizzi dello spazio pubblico. Il pubblico è più fragile perché «le disuguaglianze oggi non si determinano più nella sola sfera economico-lavorativa, ma coinvolgono anche la dimensione culturale e soprattutto la relazione fra queste due dimensioni».
Ed è
il capitale culturale [che] funge da spartiacque fra chi ha accesso al mondo esterno e alla sua sfera quotidiana solo attraverso la televisione e chi riesce a triangolare informazioni e stimoli fra diversi media, la propria esperienza quotidiana e le sue agenzie di socializzazione […]. [Ed è sempre] il capitale culturale a essere la chiave di accesso per una serie di contesti nei quali si coltiva la socialità. Se è vero che, in un’epoca di estrema labilità del legame sociale, la relazionalità è allo stesso tempo spasmodicamente cercata e tuttavia evitata nel suo aspetto “legante”, gli ambiti nei quali tale socialità frammentata e un po’ compulsiva si dispiega sono quelli legati al loisir (corsi di lingue, club enogastronomici, palestre, cineforum): insomma spazi sociali il cui accesso è legato alla propria dotazione di capitale culturale.
Velocità e bisogno di lentezza diventano un binomio che caratterizza le abitudini di vita e i desideri delle persone, come conseguenza del multitasking e della pluralità di offerte e di consumo proposte dal web.
Come rileva Michele Trimarchi non è più sufficiente uno studio quantitativo dei pubblici che ignori l’impatto emotivo e cognitivo dell’esperienza culturale.
La disaggregazione del pubblico secondo categorie dimensionali come la fascia d’età, il grado di istruzione e la condizione economica finisce per accreditare una relazione rigida tra gruppi sociali e domanda di cultura, ignorando del tutto la distinzione tra presenza e partecipazione, e trascurando la catena di esperienze culturali che richiederebbe investigazioni a monte e a valle della rilevazione.
Per questo diventa strategico sviluppare analisi qualitative dell’utenza su vasta scala.
Nel rapporto Policies and good practices in the public arts and in cultural institutions to promote better access to and wider participation in culture vengono presentati alcuni orientamenti che dovrebbero consentire alle istituzioni culturali del XXI secolo di affrontare meglio il problema dell’accesso e dell’ampliamento dei pubblici.
In sintesi le linee d’azione proposte dal rapporto sono:
- procedere con una analisi sistematica dei pubblici segmentandoli in occasionali, potenziali e in non pubblici;
- rimuovere gli ostacoli che impediscono l’accesso alla cultura e alle istituzioni culturali (ostacoli fisici, geografici, economici, culturali, percettivi);
- creare partenariati fra diverse figure chiave (promozione di collaborazioni e strategie partecipative);
- in ambito professionale condividere modelli e buone pratiche;
- costruire il pubblico potenziando un approccio guidato dalla domanda e non dall’offerta;
- investire sulla formazione dello staff;
- produrre costantemente dati quantitativi e qualitativi.
Parte di questi ragionamenti costituiscono i presupposti teorici del concetto di audience development che è alla base del Programma Europa Creativa.
Volendo sintetizzare possiamo dire che in ambito culturale, dal punto di vista delle finalità, l’audience development si declina tanto in attività di fidelizzazione del pubblico abituale e occasionale (come far tornare le persone a visitare un museo/teatro/luogo culturale, come migliorare la partecipazione alla vita culturale di una certa istituzione) quanto in attività di avvicinamento di pubblici normalmente esclusi dalla fruizione (come stimolare e far entrare al museo, a teatro, in biblioteca persone che per i motivi più diversi non frequentano questi spazi).
Alessandro Bollo individua tre strategie per l’audience development: l’ampliamento del pubblico, la sua diversificazione e il miglioramento della relazione.
Le analisi debbono tener conto anche dei comportamenti del pubblico nel web.
Sulla base di indagini svolte in ambito anglosassone e di cui riferisce Nina Simon, il pubblico del web è stato così segmentato:
- i creativi che producono contenuti e creano blog rappresentano il 24%;
- i critici che rivisitano e commentano rappresentano il 37%;
- i collettori che creano link, aggregano contenuti per fini personali o sociali;
- i “joiners” che si iscrivono a gruppi e fanno parte di communities virtuali e rappresentano il 51%;
- infine gli spettatori che sono il 73% che guardano video e leggono siti.
Questa classificazione è particolarmente interessante anche ai nostri fini e per il nostro Paese, perché rappresentativa di tendenze in larga parte intuite e comunque utili per progettare nuove azioni da parte di istituzioni culturali, come biblioteche, archivi e musei.
Ci sono poi i dati 2014 sulla lettura che fanno registrare ancora una flessione rispetto a quelli del 2013, dal 43% al 41,4%. L’interpretazione di questi dati non deve però irrigidirsi in una contrapposizione fra lettori e non-lettori, ma piuttosto potenziare il bisogno di analisi dettagliate, puntuali e continue per andare più in profondità. Non si può non rilevare che la categoria dei non-lettori vada meglio dettagliata, per poterne cogliere meglio le gradualità e le sfumature. Anche lo studio delle peculiarità della lettura in rete e sui nuovi dispositivi diventa una sfida contro le categorizzazioni rigide e le semplificazioni.
Far crescere le competenze del pubblico, farlo sentire partecipe della vita della biblioteca in molti modi, anche attraverso l’utilizzo dei social network e del web, imparare dalle sue competenze rappresentano aspetti che non dovrebbero essere disgiunti da altri: alfabetizzare, educare, accompagnare e facilitare l’accesso per i pubblici esclusi, tenendo conto dei risultati di analisi e indagini attente e ripetute.
La biblioteca pubblica per tutti questi motivi si conferma uno straordinario incubatore di comunità, un luogo e un servizio che facilita il consolidamento del legame sociale e non solo per le fasce di pubblico più svantaggiate.
Partecipazione e mediazione: due aspetti centrali del dibattito sulla biblioteca pubblica
Negli ultimi anni si sta discutendo nella comunità professionale in maniera via via più diffusa e capillare della dimensione partecipata della biblioteca volendo con ciò evidenziare un bisogno sempre più radicato negli utenti di trovare modi e tempi per condividere le azioni della biblioteca, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie competenze e offrendo il proprio aiuto, anche attraverso l’azione volontaria e quella associata (ad esempio attraverso le associazioni Amici della biblioteca oggi molto diffuse anche nel nostro Paese); un fatto che può potenziare e radicare maggiormente la mission della biblioteca, rendendola più visibile anche ai decisori.
Il dibattito su questo tema è diffuso e si è ulteriormente alimentato nel nostro Paese, anche grazie alla recente traduzione italiana del volume di David Lankes, L’atlante della biblioteconomia moderna. I temi che Lankes affronta nel libro vanno comunque riferiti al contesto italiano che ci obbliga a tener conto di alcune peculiarità fra le quali la valorizzazione del patrimonio storico e culturale occupa un posto centrale, come stabilito nell’articolo 9 della Costituzione. Il ruolo sociale e socializzante della biblioteca non va disgiunto dunque da quello della conoscenza e promozione del patrimonio culturale di cui le biblioteche rappresentano una articolazione rilevante, ma spesso non abbastanza riconosciuta rispetto ad altri comparti, come quello dei musei e del turismo culturale.
La tendenza partecipativa diventa una spinta per la biblioteca che essa deve sapere intercettare e a cui si trova comunque a dover rispondere, a discapito di un minor radicamento nella comunità e di un minor riconoscimento pubblico.
Per qualcuno la dimensione partecipativa presenta anche un potenziale di risposta alla crisi, trovando un completamento anche nelle tante azioni di fundraising (campagne di sostegno dal basso, crowdfunding ecc.) che oggi stimolano la biblioteca a riscoprire e rilanciare la propria azione.
Parlandone con riferimento ai musei Nina Simon ha dedicato a questo tema un libro dal titolo The Participatory Museum, indicandola come strategia per il comparto museale per i prossimi venti anni. La descrive utilizzando tre concetti base, che possono essere applicati anche alla realtà della biblioteca:
- il museo (la biblioteca) dovrebbe essere accessibile come uno shopping center o una stazione dei treni;
- i visitatori costruiscono i loro significati a partire dalle proprie esperienze culturali;
- le voci degli utenti possono informare e rafforzare i progetti e i programmi dell’istituzione.
Ogni progetto partecipato si rivolge a tre portatori di interesse: l’istituzione stessa, i partecipanti e il pubblico. Cinque sono le azioni possibili indicate da Nina Simon nel libro:
- fare delle domande ai visitatori e stimolarli a registrare le proprie reazioni agli oggetti;
- costruire delle interpretazioni viventi e performanti per aiutarli a creare una connessione personale con gli oggetti;
- progettare dei percorsi che propongano delle presentazioni giustapposte, contrastanti e finanche conflittuali degli oggetti che li mettano in relazione gli uni con gli altri;
- fornire istruzioni chiare ai visitatori per entrare in relazione con l’oggetto mentre partecipa a un gioco o a una esperienza guidata;
- offrire ai visitatori modi per condividere gli oggetti sia fisicamente sia virtualmente con amici e familiari.
Proprio l’uso dei social media può rivelarsi uno strumento molto efficace per potenziare la capacità delle istituzioni di raggiungere pubblici diversi, di ampliare il proprio raggio di azione e di consolidare il proprio impatto sociale. Per questo proprio le strategie partecipative sono vie pratiche capaci di rafforzare queste spinte.
Un esempio particolarmente riuscito di una strategia efficace di utilizzo del web per comunicare una istituzione culturale è quello del Museo di Arte antica di Palazzo Madama a Torino, oggi, di fatto, un luogo simbolo della città, luogo fisico e virtuale insieme, che ha saputo coniugare in maniera efficace valorizzazione e promozione del patrimonio storico e culturale e uso dei social media. Anche la Biblioteca San Giorgio a Pistoia ne rappresenta un analogo esempio in ambito bibliotecario.
Per questo lo sforzo partecipativo diventa strategico, ma solo nella misura in cui rappresenti un’occasione di valorizzazione per l’istituzione, diventando un’opportunità per dare rilevanza alle proprie vocazioni. Si propone quindi come una specifica interpretazione delle funzioni del servizio capace di incidere profondamente sulle attività proprie della biblioteca, influenzandole positivamente fino a modificarne la capacità di successo e di impatto. In parte si può dire che la spinta partecipativa sia inscritta nel DNA della biblioteca pubblica. Per questo David Lankes distingue fra biblioteche della comunità o per la comunità e, dal suo punto di vista, la scelta di una locuzione o dell’altra sposta l’accento su una interpretazione che pone l’istituzione biblioteca al di sopra della comunità cui si rivolge o piuttosto la vede coinvolta sempre nei processi di trasformazione del contesto e della stessa comunità con cui inevitabilmente intreccia rapporti simbiotici e convergenti.
Un altro concetto centrale negli scenari della contemporaneità è quello di mediazione.
In ambito bibliotecario il concetto di mediazione è stato ed è peculiare, anche come punto di riferimento identitario per il dibattito professionale impegnato a discutere del presente e del futuro del ruolo della biblioteca e dei bibliotecari di fronte alle sfide poste dai cambiamenti in atto nel contesto sociale e culturale. L’imporsi della rete e del digitale mette in evidenza il rischio di veder vincere la “disintermediazione” non più solo informativa, ma anche culturale (tra gli esempi recenti ricordiamo l’apertura dell’editoria e della distribuzione digitale alle modalità della sottoscrizione diretta di abbonamenti da parte degli utenti per accedere a contenuti digitali bibliografici, musicali, cinematografici), nonostante l’emergere delle nuove povertà non solo in campo economico; un fatto che renderebbe invece più evidente il bisogno diffuso di mediazioni.
Eppure la biblioteca pubblica ha nella sua storia e nelle sue declinazioni “fisiche” recenti, anche nel nostro Paese, e non più solo nei paesi anglosassoni, una tendenza precipua e spiccata a porsi non più solo come referente di mediazione dell’universo documentale, ma a interpretare la promozione della lettura in diversi modi, proponendosi piuttosto come community center, luogo in cui la cultura non solo si fruisce, ma si produce, ricomprendendo dunque la mediazione documentale nel più ampio ambito della mediazione culturale. In questo scenario trova spazio la ormai celebre definizione di David Lankes: «La missione dei bibliotecari consiste nel migliorare la società facilitando la creazione di conoscenza nella società di riferimento».
La biblioteca media in molti modi e diventa uno spazio di opportunità, condivisione, ma anche di produzione di contenuti.
Questo svaluta o rivaluta la reference library? Forse ne è solo una articolazione, una declinazione e valorizzazione ulteriore. Piuttosto che vederle come una alternativa vanno viste insieme e sempre in connessione.
Il concetto di mediazione è da vedersi in relazione con quello di animazione, che ne rappresenta l’altra faccia della medaglia. Anne-Marie Bertrand la definisce «un modo di essere della biblioteca nella città e un modo di apparire della biblioteca nel suo ambiente» e ancora «un’interfaccia che permette l’incontro tra il tempo lungo delle attività della biblioteca e i tempi mediatici dell’evento». Un aspetto importante che caratterizza il modo di porsi della biblioteca e la rende l’agente di base capace di creare quell’infrastruttura di riferimento del territorio che consente di innestare nella comunità azioni efficaci anche per il turismo culturale e i festival di intrattenimento culturale, conciliando e intrecciando percorsi modulari per i pubblici più colti e per quelli più popolari.
Le azioni proattive della biblioteca pubblica
Per questo la differenziazione dei servizi diventa una strategia e un progetto. Per questo declinando il termine lettura al plurale, come ci sembra più appro- priato fare, la biblioteca può proporsi come motore di azioni molteplici, che rafforzano la sua vocazione primigenia e le danno nuovo respiro, ampliandone l’efficacia.
Nella sua progettualità diventeranno centrali le attività culturali che propongono contenuti attraverso incontri con l’autore, gruppi di lettura, ma anche mediante tutte le iniziative che offrono occasioni per il tempo libero e che intercettano pubblici diversi, con una programmazione di corsi e attività di formazione permanente che arricchiscono di opportunità la sua offerta culturale.
Perché la promozione della lettura possa dare frutti nel tempo e conquistare fasce di pubblico meno abituate e motivate a leggere, la biblioteca dovrà potenziare le proprie azioni di alfabetizzazione di base all’uso dei nuovi strumenti e dell’informazione veicolata dal web, proponendosi come agente della formazione digitale di base e per imparare a fare un uso intelligente e ponderato dell’informazione, ma anche per dar seguito a quanto scritto nell’Agenda Digitale Italiana in tema di competenze digitali, oggi indispensabile requisito per accedere a una rosa sempre più ampia di servizi erogati sempre di più solo attraverso il web (per esempio iscrizioni scolastiche, borsellino elettronico, fatture elettroniche ecc.). A questo proposito è stata presentata proprio di recente a Torino la Dichiarazione dei diritti in Internet, redatta da una Commissione di studio su iniziativa della Presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini che stabilisce che ogni persona ha diritto di accedere alla rete e di acquisire le capacità necessarie per usare la rete in modo consapevole e attivo.
Certo, si può essere d’accordo nel dire che non siano le attività culturali a rendere la biblioteca tale, proprio perché possono essere proposte indifferentemente da altri agenti del territorio, eppure offrire tutto ciò in biblioteca in abbinamento ad altri servizi ne rafforza il raggio d’azione e consente di raggiungere nuovi pubblici che diversamente non si sarebbe in grado di intercettare. Le attività culturali per questo diventano una scommessa che offre una straordinaria occasione di valorizzazione di quanto di più specifico e proprio la biblioteca possa proporre. Con un’azione di contrasto al divario digitale e di radicamento dell’egovernment, ad esempio, la biblioteca interpreta la promozione della lettura come parte di una strategia e di un progetto culturale più ampio. A ciò non è estranea la spinta a proporre costantemente nuove occasioni di valorizzazione dei patrimoni e delle collezioni storiche che potrebbero diventare, nelle nostre biblioteche pubbliche di più antica istituzione, una opportunità eccellente di rivitalizzazione anche per un inserimento intelligente nei percorsi e nelle proposte del turismo culturale che potrebbe trovare in esso un valido completamento; un museo diffuso e integrato che comprenda anche il patrimonio librario nella propria offerta di musei, monumenti e paesaggio. Interessante quanto propone la Bibliothèque Municipale à Vocation Régionale di Nizza che con le collezioni della Bibliothèque d’études et du patrimoine Romain Gary organizza le Lectures patrimoniales, letture di testi originali, presentazioni e commenti di documenti originali come iniziativa stabile della propria programmazione.
In sintesi queste potrebbero rappresentare alcune linee di intervento da seguire:
- alfabetizzazione di base, della lingua, delle lingue, delle nuove tecnologie, del web e alfabetizzazione alla lettura;
- informazione di comunità e di primo livello per orientare e assistere il pubblico, con l’aiuto dell’associazionismo e degli altri servizi della comunità (per esempio informagiovani, informalavoro);
- formazione permanente e continua anche attraverso un’offerta integrata di corsi e opportunità tradizionalmente estranei al mondo bibliotecario (corsi di danza, ginnastica ecc.);
- promozione integrata della lettura e del patrimonio che sappia far cogliere i nessi fra antico e contemporaneo, mescolando i pubblici e rivolgendo una attenzione specifica al pubblico giovanile.
Per questo le revisioni identitarie della biblioteca pubblica contemporanea, stimolate e interrogate dal digitale e dalle maglie strette di una crisi che rende la sua attività più fragile e precaria, possono trovare nella spinta esogena, piuttosto che in quella endogena, un correttivo e una cartina al tornasole per misurare l’efficacia del proprio agire e nelle azioni culturali proposte per soddisfare le esigenze dei suoi pubblici la migliore risposta a questa stessa crisi.
Come per la cultura in quanto tale vale anche per la biblioteca l’affermazione secondo cui è «l’unico bene che una volta distribuito aumenta il suo valore», a patto però che «il suo patrimonio e il suo sistema di produzione e trasmissione siano ogni giorno salvaguardati e incrementati».