Leggere all’università: studiare e fare ricerca su carta e in digitale
NuMediaBiOs, Osservatorio Nuovi Media, Università di Milano Bicocca; nicola.cavalli@unimib.it
Per tutti i siti web l’ultima consultazione è stata effettuata il 16 novembre 2015.
Abstract
L’articolo si focalizza sulla “lettura digitale”, oramai divenuta un’abitudine consolidata e in costante crescita nella vita quotidiana. Tale pratica risulta però più diffusa nell’ambito della sfera privata che in quello formale dell’istruzione (a tutti i livelli): sebbene la maggioranza degli studenti universitari, in Italia e all’estero, legga quotidianamente testi in formato elettronico, lo studio digitale è considerato ancora un’attività insolita. La disponibilità di strumenti digitali per lo studio, infatti, non implica necessariamente che si sviluppi un sistema che supporti tale attività in modo adeguato.
L’articolo illustra alcune tra le principali ricerche svolte su questo tema con l’obiettivo di fornire una chiave interpretativa delle resistenze all’utilizzo di strumenti digitali per lo studio e di riflettere sulle possibili evoluzioni di questi strumenti alla luce dei mutamenti socio-culturali in atto.
English abstract
Nowadays people are used to “digital reading” in their daily life and this practice is constantly growing. However, students prefer digital reading in their free time (e.g. social networks, online newspapers) than for study purposes: although the majority of university students, both in Italy and abroad, daily read electronic texts, studying digital documents is still considered an unusual activity. The increasing availability of digital tools for study purposes has not changed students’ habits yet.
Describing main studies on this topic, this articles aims to understand resistances to use digital tools for study purposes and to think about future developments of these tools in the light of current societal and cultural changes.
Introduzione
Ormai tutti noi, sia che esercitiamo un’attività intellettuale per professione, sia che non lo facciamo, leggiamo in digitale. Questo non significa che leggiamo “libri” digitali, ma che esercitiamo l’attività di decodificare segni che individuiamo su uno schermo digitale cercando di dare loro un senso. Lo sviluppo dell’editoria digitale “libraria”, nel senso di prodotti o servizi digitali che provengono da una casa editrice, è, almeno in Italia, ancora a uno stato embrionale. Sicuramente diversa è la situazione negli Stati Uniti, mentre nel resto d’Europa, con l’eccezione del Regno Unito, lo sviluppo dell’editoria digitale “libraria” è ancora a dei livelli simili a quello italiano. Anche le recenti discussioni sul “plateauing” della crescita degli e-book negli Stati Uniti non paiono veramente convincenti, e, pur essendo il libro cartaceo sicuramente lontano dalla morte, non possiamo ritenere che la lettura digitale non stia diventando un’abitudine consolidata nella vita delle persone, giovani e meno giovani, dei Paesi sviluppati. Partiamo quindi dalla considerazione, verificata anche dall’esperienza quotidiana di ognuno di noi, che la lettura digitale è sempre più diffusa e in costante crescita. È importante comunque sottolinearlo perché, in una società in cui il tempo è una risorsa, la lettura digitale è forzatamente sostitutiva rispetto ad altre forme di svago, intrattenimento o apprendimento, ed è un attore importante della cosiddetta “Attention Economy” (Davenport - Beck, 2001).
Sappiamo quindi che la lettura digitale è una abitudine più diffusa nella sfera privata, piuttosto che in quella formale della scuola, dell’università e dello studio; anche se la maggioranza degli studenti, sia nelle università italiane (Cavalli, 2014) che straniere (Hew, 2011), leggono testi digitali. È, allo stato attuale, una tecnologia di vita e non di apprendimento: se consultiamo i social network, se leggiamo un quotidiano online stiamo operando un’attività di lettura digitale, e tutti sappiamo di farlo abbastanza regolarmente; se studiamo su un tablet, su un e-reader, su un computer o su uno smartphone, stiamo compiendo un’attività di studio in digitale, e sicuramente questa è un’attività meno comune. Ma è plausibile ritenere che un’abitudine della vita privata venga portata anche in altri ambiti (Siemens, 2005).
La riflessione sui mutamenti introdotti dalla digitalizzazione e da Internet nel campo della scrittura, della lettura e della conoscenza, che è necessariamente rilevante anche a un’analisi dei mutamenti delle pratiche di studio, data ormai diversi decenni (Landow, 1991; Bolter, 2001; Gilmont, 2004) e non potrà qui essere richiamata esplicitamente, anche se si parte dalle sue considerazioni. La digitalizzazione del sapere porta a una sua maggiore praticità di fruizione riscontrata nella vita privata, molti, però, non trovano invece questa convenienza quando devono studiare (Baron, 2015). Questa considerazione è fondamentale per capire l’attuale stato evolutivo delle tecnologie digitali per lo studio. Se infatti ripercorriamo rapidamente alcune tappe dell’evoluzione dei supporti (hardware), che permettono una lettura digitale, notiamo che l’ultimo importante scalino (Roncaglia, 2014) effettuato è stato quello dell’inchiostro elettronico (Cavalli, 2012) e degli e-reader dedicati, che hanno appunto portato alla diffusione importante e massiccia degli e-book nel mercato trade, facendoli arrivare in USA a coprire circa il 25% del mercato dell’editoria tradizionale. Ma l’inchiostro elettronico e l’ePub2, che con esso si è diffuso, sono una tecnologia molto adatta alla lettura del cosiddetto “testo a correre”, tipico dei romanzi, e meno adatta allo studio. Vi sono state diverse innovazioni anche nelle tecnologie legate alla lettura digitale per lo studio e l’apprendimento, quali sistemi di annotazione, sistemi di condivisione delle annotazioni, infografiche interattive, timeline, quiz, strumenti di simulazione e interazioni varie; tutte però relative al software, ai formati come ePub3, e meno all’hardware, anche se la diffusione degli schermi touch dei tablet e degli smartphone sono comunque annoverabili fra le innovazioni tecnologiche. Sono innovazioni che comunque non hanno portato a un deciso cambiamento delle abitudini di studio, facendole passare da carta a digitale. Lo studio rimane ancora prevalentemente cartaceo; ma lo studio digitale, come vedremo più avanti, avanza comunque più o meno inesorabilmente, perché, pur senza cadere in un determinismo tecnologico assoluto, credo che la tecnologia influenzi in qualche modo le nostre abitudini e quindi la nostra società. È chiaro che le tecnologie possono influenzare il nostro livello di competenza in attività che le società della conoscenza ritengono fondamentali. Come ci suggerisce ad esempio Baron (2013) le calcolatrici tascabili hanno minato alla base la necessità di ricordare come eseguire semplici addizioni e sottrazioni; il controllo ortografico ha reso la conoscenza di una corretta ortografia una competenza meno importante; in Giappone, la disponibilità di programmi di elaborazione testi sta facendo dimenticare persino agli insegnanti come si scrive il Kanji.
Seguendo alcune suggestioni di quella che è stata definita la Scuola di Toronto, il cui esponente più celebre è stato McLuhan, ma che ha tratto diversi spunti da studiosi del secondo Novecento, possiamo ritenere (Goody e Watt, 1968; Havelock, 2009; Olson, 1994) che l’emergere della scrittura (sia generalmente la scrittura in generale e in particolare la scrittura alfabetica) abbia reso possibile dei cambiamenti fondamentali sul modo in cui le persone pensano. La lettura di un testo scritto permette un livello di riflessione e un ragionamento logico che è difficile da raggiungere senza la durabilità e la fissità del testo scritto. Elizabeth Eisenstein (1979) ci dimostra poi come la stampa sviluppi il pensiero analitico e ponga le basi per la nascita degli Stati moderni e del loro apparato, anche burocratico. Walter J. Ong (1982), infine, nota come i nuovi media del suo tempo, radio e televisione, mancando della fissità del testo scritto, riportino in auge modalità di pensiero tipiche del periodo prealfabetico.
D’altronde anche Robert Darnton (2009, p. XIII-XIV) ritiene che oggi i lettori «feel the ground shifting beneath their feet, tipping toward a new era that will be determined by innovations in technology» e che «the explosion of electronic modes of communication, is as revolutionary as the invention of printing with movable type».
Che quindi lo sviluppo tecnologico riguardante la scrittura e la lettura abbia un’influenza sulle modalità in cui le persone pensano e apprendono mi pare un fatto assodato; più complesso è capire in che modo e a che livello le innovazioni tecnologiche inducano e influenzino questi cambiamenti; è complesso capire come il sistema culturale di una società, come i sistemi culturali e valoriali individuali modifichino e si modifichino in risposta alla presenza o all’introduzione di una nuova tecnologia.
Nel corso delle prossime pagine cercherò di analizzare alcune ricerche che sono state compiute fino ad ora sulle modalità di studio e di lettura con le nuove tecnologie, per provare a delineare alcune coordinate che possano essere utili a una migliore comprensione del fenomeno. Il contributo vuole suggerire da un lato una chiave di interpretazione delle attuali resistenze all’utilizzo di manuali e strumenti digitali per lo studio, dall’altro individuare quale potrebbe essere l’evoluzione di questi strumenti e capire perché è possibile e anche probabile che avranno successo, alla luce dei mutamenti sociali e culturali in atto che caratterizzano la contemporaneità.
Le ricerche sulla lettura
Generalizzando e semplificando un po’ possiamo provare a trovare un minimo comune denominatore in molte delle ricerche compiute sullo studio con le nuove tecnologie, siano essi strumenti hardware (e-reader, tablet o computer) o software (varie declinazioni di digital textbooks).
Se è ormai condivisa e diffusa la conoscenza delle differenze dei diversi supporti hardware, il termine digital textbook è sicuramente ancora abbastanza indefinito e utilizzato come termine “ombrello” sotto cui ricadono manuali digitali dalle caratteristiche molto diverse fra di loro. Fondamentalmente si identifica con il termine “manuale digitale” qualsiasi testo utilizzato per la didattica, che non sia stampato.
Una prima differenza fondamentale da tenere presente è quella fra i manuali digitali che ripropongono l’aspetto della pagina cartacea, e che possono anche essere dei PDF scansionati o dei file prestampa, e quelli che invece sfruttano la possibilità, tipica dell’HTML e quindi dell’ePub, di adattarsi dinamicamente alle dimensioni dello schermo e di sviluppare un’impaginazione e un’estetica specifica per il digitale (Jeong, 2012; Nelson, 2008; Vassiliou e Rowley, 2008; Chesser, 2011). Tipicamente un PDF statico può anche non avere elementi interattivi, a partire dai link, mentre un testo basato su ePub3, XML o altri formati specificamente digitali avrà caratteristiche interattive e multimediali (Chesser, 2011).
Gli studenti potranno poi accedere ai manuali digitali in modi diversi, e questo influirà molto sulla valutazione della comodità di utilizzo, come ad esempio ci dimostrano Shepperd et al. (2008). Nella loro ricerca del 2008, infatti, basata su un manuale digitale distribuito su CD-ROM e installato localmente su un computer, gli studenti non avevano altra possibilità di utilizzo se non sul computer dove era stato installato. L’ovvia conseguenza della ricerca è stata rilevare che gli studenti, pur valutando positivamente l’usabilità del manuale digitale, hanno valutato negativamente la comodità di utilizzo, preferendo sotto questo aspetto il libro cartaceo. È ovvio però che questa ricerca, pur non molto distante nel tempo, si riferisce a una modalità di distribuzione obsoleta, anche se la vediamo ancora in uso in molte scuole italiane. È altrettanto ovvio che la relativa scarsa propensione all’utilizzo sia legata a questa modalità di distribuzione, ormai superata dallo sviluppo della rete Internet.
Allo stesso modo molte delle ricerche condotte sull’utilizzo e sull’accettazione dei manuali digitali sono state condotte facendo riferimento a computer e pagine statiche (Berg, Hoffmann e Dawson, 2010; Jeong, 2012; Morineau et al., 2005; Murray e Pérez, 2011; Shepperd et al., 2008; Shamir e Shlafer, 2011; Sun, Flores e Tanguma, 2012). Diverse teorie che nascono dalla psicologia dell’apprendimento sostengono che ci sia una relazione fra comprensione e contesto (Thelen, Schoner, Scheier e Smith, 2001). È quindi importante studiare l’impatto che la possibilità di studiare in mobilità, con un testo “liquido”, con le diverse funzionalità interattive e multimediali, ha sulle modalità e sull’efficacia dell’apprendimento. È plausibile ritenere che queste tecnologie abbiano il potenziale di cambiare le modalità con cui gli studenti interagiscono con il materiale didattico (Boroughs, 2010).
Il problema intrinseco è però la velocità con cui evolve la tecnologia, radicalmente diversa sia dai tempi necessari per un cambiamento delle abitudini di studio e di insegnamento e in generale per un cambiamento culturale, sia dalla velocità con cui si conducono e pubblicano le ricerche accademiche su questi temi. Abbiamo visto come nel 2015 una ricerca pubblicata nel 2012, che si è basata sullo studio digitale attraverso PDF e computer fissi, possa già dirsi superata.
Possiamo però affermare con certezza che la disponibilità di strumenti digitali per lo studio non implichi che si sviluppi un sistema che lo permetta e che lo supporti. L’invenzione della scrittura, più di 5000 anni fa, non ha significato che le culture del tempo potessero essere definite delle culture della scrittura. Nella Grecia e nella Roma classiche l’alfabetizzazione era modesta, e in realtà la situazione è perdurata per diversi secoli fino al Medioevo (Harris, 1989; Baron, 2000). Allo stesso modo, pur essendo la stampa a caratteri mobili presente dalla metà del XV secolo, non si può parlare di culture e di società della stampa fino ad almeno la metà del XVII secolo (Eisenstein, 1979). Un primo minimo comune denominatore delle ricerche sullo studio in digitale che possiamo riscontrare è quindi lo scollamento fra la velocità di evoluzione della tecnologia e delle abitudini e percezioni culturali. I risultati di queste ricerche, che riscontrano un certo grado di diffidenza verso le modalità di studio digitali, sono quindi al limite della tautologia, ed è errato ritenere che queste abbiano valore predittivo.
Una piccola evidenza a sostegno di questa tesi può essere rintracciata nell’analisi delle ricerche che tentano di comparare la velocità di lettura a schermo con quella di lettura a stampa. Ricerche degli anni Novanta (Dillon, 1992) riportavano una velocità maggiore nelle lettura su carta di circa il 20-30%, altri studi più recenti (Rockinson et al., 2013; Cull, 2011) riportano di altri studi con risultati simili, anche se, con il passare degli anni, sempre meno evidenti, per arrivare a studi che non trovano differenze significative (Noyes e Garland, 2003). Forse una maggiore abitudine e dimestichezza con la lettura a schermo, acquisita nel corso di diversi anni, può essere la spiegazione della crescente uguaglianza nei rilevamenti delle velocità di lettura fra carta e digitale. Secondo lo stesso schema è possibile forse interpretare gli studi che provano a rilevare i tassi di comprensione di un testo scritto fruito su carta o in digitale, anche se il livello di comprensione di un testo è una misura più soggettiva rispetto alla velocità. In ogni caso troviamo che alcune ricerche dei primi anni Duemila hanno riscontrato una minore comprensione del testo quando fruito in digitale (Morineau et al., 2005; Van Den Broek, Kendeou e White, 2009), mentre studi più recenti (Moyer, Thiele 2012; Eden e Eshet-Alkalai, 2012) non trovano differenze statisticamente significative.
Con la diffusione del digitale, in questo caso non esclusivamente dedicato alla manualistica ma più in generale alla lettura di testi accademici e scientifici, diverse ricerche (Liu, 2012) hanno evidenziato l’emergere di una modalità di lettura specifica del digitale, definita da Rowlands, Nicholas e altri (2007) “power browsing”, ossia un tipo di lettura non lineare, basata sull’individuazione di parole chiave, sulla consultazione, sulla selettività, piuttosto che sulla concentrazione e sulla linearità. Da questa diversa modalità di lettura possono scaturire forme diverse di apprendimento (Hillesund, 2010; Mangen, 2008). Credo che questo tipo di ricerche, tese a individuare l’emergenza di alcuni pattern comportamentali, possano sicuramente essere utili e rivelare dei trend che possono orientare la riflessione futura e capire verso che tipo di studio digitale, verso quali modalità di apprendimento ci si sta dirigendo. Tutte le storie del libro e della lettura, infatti, come ci fa notare Darnton (1990), si concentrano, correttamente, sulla materialità dell’atto di leggere e sulle conseguenze che il cambiamento di supporto ha indotto in questa pratica.
Sicuramente il supporto ha una rilevanza nel condizionare l’attività della lettura e di conseguenza è fondamentale seguire l’evoluzione tecnologica dei device hardware. È quindi plausibile che studi che si concentrano sulla materialità della lettura, anche nel contesto immateriale del digitale, ci possano dare spunti interessanti per capire che evoluzione avrà questa pratica e quale validità possa avere ai fini di permettere, di facilitare il processo di apprendimento, in special modo se abbinati al tentativo di comprensione da un punto di vista neuroscientifico dei cambiamenti che la lettura digitale porta al nostro modo di elaborare e sviluppare il pensiero, come ben dimostra Maryanne Wolf (2007) nei suoi scritti.
Le diverse modalità di lettura
La lettura digitale, in quanto esperita su device specifici come i tablet o gli e-reader, manca di un paratesto ricco come quello del cartaceo, dispone di contesti mutevoli, è ipertestuale, permette la ricerca dentro al testo e su collezioni di testi. Dà quindi atto a uno sviluppo neurocognitivo diverso rispetto alla lettura cartacea, caratterizzata da linearità, fissità del supporto, scarsità di collegamenti ipertestuali, presenza di indici dei nomi, di indici analitici, di note, da ricchezza del paratesto e certezza del contesto. Il “discorso neuroscientifico” ha profonde implicazioni pedagogiche e se vogliamo anche culturali e sociali, che tratteremo nelle conclusioni, ma è necessario esaminare perché si riscontra una maggiore propensione alla lettura digitale per l’intrattenimento rispetto alla lettura digitale per l’apprendimento.
Se infatti seguiamo gli studi di Baron (2013, 2015), che analizzano le percezioni riferite di un gruppo di studenti nordamericani verso pratiche di studio in digitale comparate a quelle cartacee, vediamo come emerga che gli studenti nordamericani preferiscano la carta quando si tratta di studiare; riportano infatti di ricordare di più, di essere più propensi a rileggere un testo che possiedono in cartaceo, di essere meno inclini al multitasking, di avere più capacità di concentrazione e di avere più facilità nel creare le annotazioni. D’altro lato preferiscono il digitale perché è possibile effettuare ricerche dentro al testo, andare a chiarire il significato delle parole tramite il dizionario integrato, approfondire i concetti attraverso Wikipedia e perché risultano più comodi da trasportare e più economici.
Ci pare di poter vedere in questa ricerca, come nelle altre ricerche simili citate nel paragrafo precedente, una sorta di possibile tipizzazione dei pro e contro della lettura cartacea o digitale ai fini dello studio. La carta viene attualmente preferita per ragioni di tipo “pedagogico”, mentre il digitale per ragioni di tipo “pratico”. È ora evidente che il regno del “pedagogico” sia un regno a evoluzione più lenta, rispetto a quello della praticità. Il peso di uno zaino e un’abitudine culturale non possono essere messe sullo stesso piano. Come già abbiamo scritto prima i fatti culturali hanno ritmi e dinamiche di evoluzione che non sono comparabili a quelli della tecnologia.
Proprio in virtù delle ragioni “pratiche” è plausibile ritenere che le modalità di studio attraverso strumenti digitali si diffonderanno, anche se bisogna verificarne modalità e tempistiche.
Credo che sia quindi necessario approfondire la sperimentazione e lo studio di applicazioni di lettura digitali che possano preservare la lettura approfondita, coniugandola con la lettura ipertestuale, in modo da rendere possibile il raggiungimento degli obiettivi pedagogici richiesti dalla nostra società, entrambi in evoluzione da un paradigma basato sulla carta, sui mass media, a uno basato sul digitale e sui personal media (Pedemonte, 1998; Ferri, 2004).
L’inchiostro elettronico e gli e-reader dedicati sembrano aver portato delle innovazioni importanti e ben accettate nel mondo della narrativa, almeno nel mondo anglosassone; per quanto riguarda invece l’utilizzo di testi digitali per lo studio, lo sviluppo e la ricerca di sistemi hardware e software è ancora a uno stato embrionale, data anche la maggiore complessità del tema e la sua difficile misurabilità. La lettura per lo studio combina la lettura prolungata e quella spezzettata, contempla un utilizzo del “libro” molto più attivo, che va dallo sfogliare avanti e indietro, alla sottolineatura, alle annotazioni e alla schematizzazione. È quindi un oggetto, fisico, ma anche culturale, molto più complesso da traslare al digitale. E anche inquadrare il problema in termini di traslazione da carta a digitale è errato, dato che il digitale offre nativamente la possibilità di proporre interattività e appunto un utilizzo attivo, che è proprio ciò che richiede lo studio, che invece il supporto cartaceo fatica a offrire. Quindi non si tratta di un semplice adattamento degli strumenti per lo studio tradizionali al formato digitale, ma di un vero e proprio ripensamento, al fine di sfruttare a pieno le caratteristiche del digitale e permettere una maggiore personalizzazione dei percorsi di apprendimento.
Conclusioni
Come ha ben detto Bolter (2001) all’inizio della rivoluzione del web: «This shift from print to the computer does not mean the end of literacy. What will be lost is not literacy itself, but the literacy of print, for electronic technology offers us a new kind of book and new ways to write and read».
Con la lettura ipertestuale vengono introdotte funzionalità quali l’interattività, la non linearità, l’immediatezza nell’accesso e la convergenza di testi, audio, video e immagini. Tutte queste funzionalità vanno a connotare la possibilità di una literacy potenziata, che, a livello teorico, può ricomprendere le caratteristiche della lettura cartacea, aggiungendone di nuove.
Ma dobbiamo anche tenere presenti le considerazioni della sopraccitata Scuola di Toronto, per cui, banalizzando e schematizzando, la rivoluzione di una tecnologia del pensiero può portare a dei cambiamenti sociali. Siamo allora così sicuri che le capacità sviluppate dalla lettura cartacea tradizionale saranno valutate positivamente nella società del futuro? O in futuro verranno valutate positivamente la capacità di attivare correttamente alcuni link e non altri, di saper interpretare i contesti delle informazioni, di saper valutare le fonti, di saper interagire con un linguaggio multimediale, con programmi interattivi, con altre persone trovate in rete e di saper ricercare, piuttosto che “semplicemente” di sapere?
Se il percorso dell’apprendimento nelle società della stampa si basa tipicamente sulla lettura cartacea approfondita, che sviluppa capacità cognitive come il ragionamento analitico e introspettivo, poi oggetto di valutazione, nella società della rete è plausibile ritenere che il percorso di apprendimento possa basarsi su una lettura digitale caratterizzata dall’ipertestualità, dallo sfogliare, dal leggere e saltare da un passo a un altro, dalla multimedialità, che sviluppa capacità cognitive come il ragionamento associativo, la capacità di socializzare e fare parte di una comunità. Si ha allora un modo di apprendere di tipo diverso che sviluppa capacità diverse, ma che potrebbe essere ugualmente o maggiormente apprezzato in una società mutata, quale quella influenzata dall’emergere e dal diffondersi della rete è. Perché si possa definire soddisfacente uno strumento per lo studio, è necessario chiarire quali saranno i parametri di valutazione. L’ipotesi è che i parametri di valutazione della società delle reti saranno radicalmente diversi da quelli della società della stampa e che saranno quindi necessari strumenti per lo studio digitale che sviluppino capacità differenti da quelle sviluppate dallo studio su supporti cartacei.
Il costruttivismo sociale e il connettivismo offrono delle lenti concettuali per analizzare le modalità di apprendimento che avvengono in rete, sui social network e, potenzialmente, con i nuovi strumenti digitali per lo studio. Il costruttivismo sociale si basa sull’idea che l’apprendimento sia situato in un contesto culturale. La conoscenza si sviluppa non solo individualmente, ma attraverso la collaborazione e l’interazione fra le persone (Vygotsky, 1978). A livello teorico il panorama della comunicazione e dello scambio che avviene sui social network sembra ben adattarsi a questa scuola di pensiero. La conoscenza diviene un accordo collettivo che raccoglie i dati di fatto con altri sulla dimensione dell’esperienza (Dede, 2008) e diviene sempre più frutto di una negoziazione collettiva.
Da una prospettiva connettivista, allora, l’apprendimento può essere visto come la capacità di essere parte di una comunità, di stabilire connessioni, di ricercare, valutare e accedere all’informazione nel momento della necessità, più che come la capacità individuale di costruire senso a partire da una conoscenza pregressa (Siemens, 2005). Secondo l’impostazione costruttivista, allora, è possibile che l’apprendimento avvenga non più solamente in contesti formalizzati, ma è plausibile che avvenga con maggiore facilità anche in contesti informali. L’ipotesi di uno sviluppo di una “cultura partecipativa” riassume questo orientamento (Jenkins et al., 2009; Ito et al., 2013). Seguendolo, anche la critica alle pratiche di multitasking in quanto non efficaci ai fini dell’apprendimento (Thirunarayanan, 2003; Carr, 2010; Mangen, 2013; Ophir et al., 2009) e ritenute tipiche della lettura digitale in opposizione a quella cartacea assumono un significato relativo. Non è infatti lo stesso tipo di apprendimento che bisogna andare a valutare. È ovvio, oltre a rilevare, come fanno molti di questi studi, che due compiti svolti contemporaneamente vengono portati a termine con minore efficacia rispetto a uno solo, che l’apprendimento introspettivo e approfondito avvenga meglio attraverso una lettura cartacea rispetto a una digitale. È questionabile invece quale tipo di apprendimento verrà valutato più positivamente da una società che si presuppone in forte mutamento.
Se andiamo ad analizzare, ad esempio, alcune previsioni di celebri studiosi e operatori nel campo dei nuovi media, così come raccolte in Millennials Will Benefit and Suffer Due to Their Hyperconnected Lives (Anderson e Rainee, 2012) vediamo che
Le memorie stanno diventando collegamenti ipertestuali all’informazione attivate da parole chiave e URL. Stiamo diventando paleontologi persistenti delle nostre memorie esterne, dato che i nostri cervelli ricordano parole chiave che ci permettono di tornare a quelle memorie, piuttosto che alle memorie complete vere e proprie» (Amber Case, CEO of Geoloqi, p. 3)
o anche, come ci suggerisce, sempre nella stessa sede, Danah Boyd che:
Un’altra possibilità è che le strutture sociali in evoluzione creeranno una nuova divisione del lavoro che premierà chi sarà in grado di effettuare decisioni rapide e corrette sfruttando la possibilità di reperire nuove informazioni, ma premierà anche chi sarà ancora in grado di effettuare ragionamenti approfonditi e focalizzati» (p. 24).
Sarà quindi opportuno e auspicabile che vengano sviluppate, come suggerito prima, delle applicazioni per la lettura digitale che permettano di sviluppare entrambe le tipologie di capacità, tipiche della carta e del digitale, come ad esempio propongono Chi-Ming Chen e Fang-Ya Chen (2014) che analizzano come lo sviluppo di applicazioni che possiamo definire di social reading (Cavalli, 2014), ossia che permettano, attraverso un’interfaccia digitale, di leggere, annotare, condividere le annotazioni e discuterne in un ambiente digitale contestualizzato, possa effettivamente migliorare la comprensione del testo e l’appropriazione individuale dei concetti e dei significati, oltre a sviluppare la capacità di creare conoscenza attraverso l’interazione e di essere in grado di valutare e ritrovare informazioni, anche multimediali, in rete.
L’opposizione fra cartaceo e digitale, fra studiare su carta e studiare in digitale, è quindi una dicotomia che può essere utile ai fini euristici, ma fuorviante ai fini della valutazione dell’efficacia dell’apprendimento e del gradimento per una delle due forme. Il gradimento, come abbiamo visto, è influenzato dalle abitudini culturali, ancora troppo fortemente, allo stato attuale, influenzate e determinate dalla secolare storia della stampa. Ciò porta inevitabilmente a un gradimento tautologico per la stampa. L’efficacia dell’apprendimento, invece, è relativa ai parametri con cui viene rilevata. È plausibile ritenere che questi cambino drasticamente al mutare della società, ed è altrettanto realistico ritenere che l’inerzia delle istituzioni scolastiche impedisca un cambiamento rapido dei parametri di rilevazione dell’apprendimento e quindi un giudizio favorevole verso le tipologie di apprendimento sviluppate attraverso l’utilizzo di strumenti digitali.
È allora doveroso sperimentare soluzioni di studio diverse attraverso strumenti digitali per migliorare la conoscenza delle specificità del digitale a fini didattici, per comprendere quali capacità vengono favorite e quali vengono trascurate. In questo modo sarà possibile progettare e implementare strumenti digitali che possano da un lato preservare quelle capacità tipicamente favorite dallo studio cartaceo, e dall’altra favorire lo sviluppo di capacità e competenze più strettamente legate al mondo e agli strumenti digitali. Credo che lo sviluppo, l’utilizzo e l’applicazione di strumenti digitali di social reading possa rivelarsi una modalità promettente di coniugare lo sviluppo di capacità riconducibili all’utilizzo da una parte di strumenti cartacei e dall’altra digitali per lo studio.
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