Professioni e competenze digitali per un mondo che cambia. A margine di un seminario organizzato a Torino
Biblioteca “Norberto Bobbio”, Università di Torino; maria.cassella@unito.it
Abstract
Considerazioni di Maria Cassella relativamente a nuove professioni e competenze digitali.
English abstract
Maria Cassella’s considerations regarding new digital professions and skills.
Nel settore professionale, sia pubblico che privato, assistiamo alla nascita di nuove professioni “digitali”, in un mercato del lavoro in rapida trasformazione.
Per le professioni tutte e per i cittadini, per la vita democratica, le competenze digitali sono diventate un requisito fondamentale. Interessano in modo trasversale anche se differente, secondo i domini e le discipline, tutte le professioni, del settore pubblico e di quello privato.
In Italia se ne discute ancora poco pubblicamente, nonostante l’Agenzia per l’Italia Digitale abbia inserito le competenze digitali nella Strategia per la crescita digitale del Paese come fondamentale programma di accelerazione per la trasformazione digitale dell’Italia puntando su una forte sinergia tra settore pubblico e privato.
Il seminario organizzato a Torino dal Centro di Documentazione Europea dell’Istituto Universitario di Studi Europei in collaborazione con la Biblioteca “Norberto Bobbio” dell’Università di Torino ha inteso affrontare il tema delle competenze digitali seguendo tre filoni di riflessione:
- le competenze digitali. Cosa sono, come si acquisiscono e si evolvono;
- le professioni nel digitale. Le nuove professioni e il cambiamento di ruolo delle professioni tradizionali;
- la formazione accademica e professionale, il ruolo dell’e-learning.
Competenze digitali
Rispetto al recente passato il concetto di “competenza digitale” è diventato progressivamente più esteso.
Van Djik, per esempio, definisce le competenze digitali come «the set of skills that users need to operate computers and their networks, to search and select information, and the ability to use them for the fulfillment of one’s goals».
Le competenze digitali vanno identificate e definite per ciascun profilo professionale, suddividendole tra competenze digitali di base, avanzate e specialistiche.
Per i cittadini restano fondamentali le competenze di base che servono ad accrescere il benessere quotidiano. Di fatto, secondo dati forniti dall’Eurostat, il 21% dei cittadini UE non ha alcuna competenza digitale, mentre il 45% ha scarse competenze digitali di base. La situazione dell’Italia è poco rassicurante dal momento che ha un tasso di analfabeti digitali elevato.
L’Unione Europea ha posto le digital skills al centro della sua agenda, pur avendo un potere di azione limitato, considerato che l’educazione e la formazione sono una competenza degli Stati membri. Ciononostante l’UE ha indicato agli Stati membri una roadmap per accrescere le competenze digitali dei cittadini e lavoratori europei:
- modernizzare l’istruzione attraverso un programma formativo mirato che parte dall’inserimento dello studio dell’informatica e della programmazione nella scuola primaria;
- facilitare il passaggio verso il mondo del lavoro;
- riqualificare la forza lavoro, agevolando la formazione professionale nelle Piccole e Medie Imprese (PMI);
- garantire per tutti una formazione adeguata sulle competenze digitali.
A novembre 2016 la Commissione Europea ha lanciato una Coalizione per le competenze e le professioni digitali per rafforzare il rapporto tra mondo dell’educazione, industria, centri di formazione professionale e parti sociali. La sinergia tra queste parti è, infatti, strategica per impostare un programma di sviluppo delle competenze digitali.
Professioni nel digitale
Un secondo argomento che è stato affrontato in modo trasversale durante il seminario è quello dell’evoluzione dei profili professionali. Il mercato del lavoro vive una fase di transizione: coesistono professioni manuali che poco o per nulla hanno a che fare con il digitale, professioni ibride ovvero profili di tipo tradizionale nei quali si innestano competenze digitali di tipo e complessità differente e nuovi profili professionali di tipo esclusivamente digitale.
La domanda alla quale si è cercato di rispondere è: come si evolvono le professioni tradizionali nel mondo digitale? In che rapporto stanno con le tecnologie?
Esistono competenze digitali di base trasversali a tutte le professioni: queste competenze si possono acquisire abbastanza velocemente, sia tramite i tirocinii (per i più giovani), che tramite la formazione peer to peer, sia attraverso percorsi formativi orientati alle diverse professioni. Tuttavia, man mano che aumenta il livello di specializzazione le competenze digitali diventano più elevate.
Individuare e fissare le competenze digitali per ciascun profilo professionale è oltremodo complesso. Il mondo del lavoro è, infatti, in veloce evoluzione e qualsiasi forma di sistematizzazione e standardizzazione dei profili professionali rischia di diventare velocemente obsoleta.
In Europa un dato risulta estremamente preoccupante e deve far riflettere: il 40% delle imprese che cercano di assumere professionisti nel settore ICT ha difficoltà a trovare personale con le necessarie competenze. La Commissione Europea calcola che entro il 2020 ci saranno 800.000 posti di lavoro non occupati per mancanza di competenze digitali, quasi il triplo rispetto ai 275mila nel 2012.
Per colmare queste lacune l’Unione Europea si è posta l’obiettivo di individuare, armonizzandole tra gli Stati membri, le competenze digitali di base per ciascun profilo professionale.
Ad oggi una traccia per quaranta profili professionali nel settore ICT viene fornita dalla norma “e-Competence Framework (e-CF) – A common European Framework for ICT Professionals in all industry sectors – Part 1: Framework” (EN 16234-1:2016). La norma utilizza un linguaggio comune che può essere compreso in tutta Europa per definire le competenze, le capacità e i livelli di preparazione di questi profili.
Per tutte le professioni il rapporto con la tecnologia è controverso. Le competenze di dominio restano imprescindibili: esse caratterizzano un modo di affrontare la professione e il rapporto stesso con le tecnologie. Pur aumentando le convergenze (si pensi, per fare un esempio vicino al nostro ambiente, alla convergenza sempre più stretta tra bibliotecari, archivisti ed esperti museali, da cui gemmano alcune nuove figure professionali come quella del digital curator) non si possono trascurare le specificità professionali legate al dominio. È da queste, infatti, che scaturiscono le domande e le esigenze professionali e di lavoro alle quali la tecnologia può dare risposte pronte e adeguate.
Durante la discussione è emersa anche l’importanza strategica delle competenze di tipo relazionale e la capacità di lavorare in gruppo (team). La complessità del digitale, infatti, è tale che, soprattutto nella gestione dei progetti di data curation e linked data, è importante mettere insieme competenze e prospettive di tipo differente. Nello specifico della creazione di dataset in modalità linked per il settore dei beni culturali, molti di coloro che oggi lavorano ai progetti di linked data vengono da lauree umanistiche, ad esempio in filosofia, o non sono laureati ma hanno fatto un percorso molto intenso di autoapprendimento, grazie all’ampia disponibilità in rete di software e tools open source.
Infine, ci si è posti il problema delle professioni intellettuali, come ad esempio, le professioni del settore dei beni culturali e quelle più prettamente “accademiche”. In modo particolare è stato interessante riflettere sulla figura dell’”umanista digitale”. Nel mondo digitale le fonti ed il metodo di lavoro degli umanisti cambiano radicalmente. La digitalizzazione massiva delle fonti, la diffusione delle banche dati, dalle interfacce di ricerca talvolta ancora complesse, rendono necessarie nuove competenze digitali per acquisire l’informazione e i documenti da utilizzare nella ricerca. Nell’attività di ricerca delle digital humanities si va anche molto oltre. Gli storici costruiscono mappe interattive digitali dei luoghi storici, i filologi moderni e i filosofi utilizzano i testi digitali per studi di linguistica computazionale, di evoluzione del linguaggio e degli stili letterari e per ricerche avanzate di data e text mining, i classicisti utilizzano gli stessi testi per analizzare il lessico antico, creare automaticamente indici lessicali e pubblicare edizioni critiche, i geografi sfruttano le potenzialità delle tecniche di geo-localizzazione ecc.
Nella ricerca, forse ancora più che in altri settori, sono l’esperienza e le competenze relative al proprio dominio a fare la differenza. Non l’età. Ovviamente i giovani ricercatori hanno maggiori probabilità di acquisire velocemente tutte le competenze digitali necessarie a condurre le proprie ricerche, soprattutto se lavorano in team di livello internazionale.
Formazione accademica e professionale e ruolo dell’e-learning
Da ultimo si è voluto affrontare il tema della formazione accademica e della formazione professionale continua. In Italia il mondo accademico accusa un ritardo nell’aggiornamento dei percorsi curriculari. Non mancano esperienze e buone pratiche; di fatto, la spinta che viene dal mercato del lavoro è fortissima, ma il disallineamento tra curricula e professioni resta, anche per la difficoltà del sistema universitario a reagire in tempi rapidi.
Non è solo un problema curriculare. Per i giovani che si affacciano al mercato del lavoro un ruolo importante svolgono i tirocinii ed il rafforzamento del rapporto, ancora labile, in realtà, tra università, associazioni professionali e mercato del lavoro.
In Italia le PMI evidenziano una certa fatica nell’ospitare tirocinii professionali che richiedano un impegno quotidiano costante non retribuito.
Quale è il ruolo dell’e-learning nella formazione accademica e professionale continua? E quale il ruolo delle biblioteche accademiche?
Per rispondere alla prima domanda è stata presentata EMMA (European Multiple MOOC Aggregator), la piattaforma europea di MOOCs per lo sviluppo professionale e la costruzione di community.
I Massive Online Open Courses (MOOCs) e le piattaforme di risorse educative aperte (Open Educational Resources) stanno cambiando radicalmente il modo di fare e-learning.
Eichhorn e Matkin descrivono l’impatto sociale dei MOOCs:
- favoriscono la discussione sull’istruzione di livello superiore;
- potenziano la didattica istituzionale;
- creano risorse per le politiche di governo;
- offrono crediti di livello accademico;
- offrono la possibilità di forme alternative di accreditamento.
EMMA raccoglie i MOOCs (tutti gratuiti) prodotti dalle dodici università che aderiscono all’iniziativa (otto università europee più alcune open university)[4]. Questa piattaforma mira a costruire un modello europeo di MOOC, favorisce il multilinguismo e l’incontro tra culture europee divergenti (multiculturalismo). Il modello pedagogico favorisce la formazione di open community; EMMA è stata arricchita da funzioni di interazione per la costruzione di classi virtuali: blog, un sistema condiviso di annotazioni e un sistema collaborativo di valutazione tra pari (peer assessment).
Grazie alle piattaforme come EMMA la formazione professionale diventa gratuita, continua, transnazionale. Si valorizza l’autoapprendimento che ha una parte rilevante nella formazione delle competenze digitali che vanno acquisite e mantenute nel tempo.
Più in generale, il modello pedagogico dell’e-learning è asincrono, centrato sull’utente, collaborativo e riflessivo. Inoltre, il modello aperto combinato con le funzioni social consente di condividere le conoscenze dell’intera community di utenti della piattaforma e della rete.
Al momento in Italia in ambito accademico l’esperienza più significativa di modello e-learning aperto e gratuito è Federica, la piattaforma sviluppata e mantenuta dall’Università degli studi di Napoli Federico II (http://www.federica.unina.it/), mentre la piattaforma accademica italiana per la produzione e condivisione di MOOCs in modalità federata e aperta è EduOpen (http://www.eduopen.org/). Il modello pedagogico aperto interagisce con un altro modello di e-learning, più orientato sulla didattica online, che prevale nelle università italiane e cioè quello basato sull’utilizzo della piattaforma Moodle. Sono, tuttavia, necessarie politiche nazionali e strategie di coordinamento per non duplicare gli sforzi.
Da ultimo, nel seminario è stato affrontato il tema del ruolo delle biblioteche accademiche per la formazione delle competenze e delle abilità digitali necessarie al recupero dell’informazione e per la formazione di un pensiero critico: parliamo di information literacy, media literacy e digital literacy. La comunità bibliotecaria è ben consapevole dell’importanza della digital literacy per la vita democratica, per il lavoro e per gli studi accademici. Lo ha ribadito l’Associazione Italiana Biblioteche pubblicando in rete il documento Manifesto per l’information literacy, a cura del Gruppo di studio AIB sull’information literacy.
Per le biblioteche accademiche una spinta politica viene anche dal gruppo di lavoro “Biblioteche e didattica” della Commissione Biblioteche della CRUI.
Ciononostante la situazione almeno in Italia è ancora molto frammentata. Manca a livello di molti atenei un’azione sinergica e sistemica. La comunità dei docenti è ancora poco sensibilizzata all’importanza di introdurre nei corsi moduli di alfabetizzazione informativa. Servirebbe un impulso forte da parte delle commissioni didattiche di ateneo e dei presidenti dei corsi di laurea per incardinare le attività di information literacy nei percorsi curriculari. Qui e là emergono progetti significativi: ad esempio, l’Università di Torino ha tenuto per due anni corsi di information literacy nelle scuole, grazie ad una collaborazione con Torino Rete Libri, la rete costituita dalle biblioteche di diciannove istituti scolastici di Torino e provincia. La Biblioteca “Mario Rostoni” della LIUC si impegna da anni in corsi di formazione per studenti con crediti formativi e ha al suo attivo anche il progetto formativo con le scuole Non solo Tesine. Sarebbe anche necessario condividere maggiormente esperienze e buone pratiche, almeno in Italia.
La biblioteca accademica sta, dunque, cambiando radicalmente in questi ultimi anni. Dopo l’enorme sviluppo delle biblioteche digitali e dei Sistemi bibliotecari di ateneo, sta ora emergendo una nuova fase di rilancio del ruolo delle biblioteche accademiche come spazi fisici (e virtuali) di crescita, di apprendimento collaborativo, di formazione di competenze e, da ultimo, di ricerca, come luoghi di incontro per studenti, ricercatori, docenti e cittadini, nell’ottica della valorizzazione della “terza missione”.
Si tratta di un passaggio concettuale importante per la biblioteca accademica: dall’interoperabilità tecnologica a quella culturale e sociale.