Information needed: comprendere e anticipare i bisogni informativi al tempo di Wikipedia
Centro bibliotecario di ateneo, Università degli studi di Salerno; cforziati@unisa.it
Centro bibliotecario di ateneo, Università degli studi di Salerno; tmaio@unisa.it
Per tutti i siti web l’ultima consultazione è stata effettuata il 13 maggio 2017.
Abstract
Il quotidiano dialogo tra reference librarian e utenti ha fatto emergere l’abitudine comune alla consultazione di Wikipedia come punto di partenza per la costruzione della propria strategia di ricerca, prassi che ci ha spinti a interrogarci sul ruolo che i bibliotecari hanno in un contesto informativo profondamente mutato rispetto agli anni della nostra formazione. Il risultato è stato comprendere quanto un uso consapevole di Wikipedia generasse un duplice beneficio: per i bibliotecari, perché grazie a un maggiore coinvolgimento nella redazione di contenuti e nell’inserimento di fonti attendibili hanno l’opportunità di emanciparsi dal ruolo di mediatori del catalogo, di disseminare all’esterno la conoscenza prodotta dalla collezione e moltiplicare i canali di accesso della biblioteca; per gli utenti, perché spinti a porre maggiore attenzione alla verificabilità delle informazioni pubblicate nell’enciclopedia e a cimentarsi nel ruolo di wikipediani, possono passare dal ruolo di consumatori di informazione a quello di produttori. Entrambi saranno poi spinti alla formazione continua sui temi dell’accesso aperto e delle licenze Creative commons.
English abstract
The daily dialogue between reference librarians and users has brought out the common practice of using Wikipedia as a starting point for the construction of the research strategy, a practice that has led us to reflect about the librarians’ role in this informational context. A conscious use of Wikipedia would generate a double benefit: thanks to a greater involvement in the drafting and improvement of contents and the addition of reliable sources librarians have the opportunity to emancipate themselves from the role of mediators of catalogue, to disseminate the knowledge produced outside the library collection and increase the resources access channels; furthermore, users are encouraged to put more attention to the verifiability of the information published in the encyclopedia and to act as Wikipedians, becoming creators of knowledge. Both librarians and users will be encouraged on continuous education on issues of open access and Creative commons licenses.
Only librarians like to search; everyone else likes to find
Roy Tennant
Find out where questions are
Gli incontri di formazione all’uso delle risorse rappresentano ormai una consuetudine nelle pratiche di servizio di ogni tipologia di biblioteca. Se da un lato queste attività rispondono a un bisogno concreto (come interrogare efficacemente gli OPAC, quali strategie adottare per compilare la bibliografia per una tesi, quali sono gli strumenti che possono essere utilizzati liberamente online e quali quelli che la biblioteca mette a disposizione ecc.) dall’altro contestualmente permettono ai bibliotecari di acquisire un punto di vista privilegiato sulle abitudini di ricerca delle proprie comunità.
Il dialogo tra utente e bibliotecario è da sempre stato foriero di un reciproco arricchimento e, con la diffusione del digitale, questo dialogo permette di capire che essere d’aiuto all’utenza oggi sottende «il problema della formazione del reference librarian» in un contesto informativo completamente mutato. Ciò è particolarmente necessario dal momento che l’utente, reale o potenziale, sempre di più fa a meno del bibliotecario e del suo ruolo di mediatore, per scegliere le proprie fonti esclusivamente sul web e disegnarsi un percorso di ricerca personalizzato: ci troviamo quindi in piena disintermediazione. In passato, rispondendo alle esigenze di un pubblico tutto sommato identificabile con gli utenti della biblioteca, il bibliotecario poteva muoversi in un contesto familiare e rassicurante, dominato da repertori e risorse che conosceva alla perfezione. Oggi buona parte delle ricerche degli utenti e dei bibliotecari inizia, e spesso termina, online.
La prima risposta che le biblioteche hanno fornito a questo nuovo assetto sono stati i servizi di reference digitale, ospitati all’interno del portale della biblioteca, quali bibliografie ragionate, virtual reference desk, document delivery (DD) e prestito interbibliotecario (ILL), forniti a una comunità di utenti che rimane per certi versi inconoscibile. Tuttavia questa soluzione non ha riscosso il successo sperato: probabilmente quel click da compiere sul portale della biblioteca era ancora troppo nascosto, rendendo questi servizi e contenuti poco competitivi.
D’altro canto sappiamo che l’utente approccia l’universo informativo in rete con una consapevolezza variabile e con una crescente difficoltà a svolgere una ricerca sistematica a causa della proliferazione delle fonti (information overload), della loro tipologia, modalità di accesso e fruizione. Si può affermare che il lettore è attualmente quanto mai vicino alle risposte che cerca, ma paradossalmente quanto mai lontano. Alla difficoltà nel districarsi tra la moltitudine di fonti informative, si aggiunge la crescente abitudine alla lettura “per scrematura” (horizontal information seeking o horizontal bouncing) per la quale si leggono solo brevi stralci di una risorsa per poi rimbalzare altrove e probabilmente non tornare più al punto di partenza, raggiungendo così una conoscenza dell’argomento della propria ricerca che, anche se considerata sufficiente, è in realtà solo superficiale (satisficing, neologismo per sufficientemente accettabile). In uno scenario del genere è evidente la necessità per il bibliotecario di conoscere approfonditamente le tecniche redazionali e le modalità di funzionamento degli strumenti che l’utenza potenziale utilizza, non limitandosi genericamente alla valutazione del contenuto informativo.
Un servizio di reference con un approccio contemporaneo non può quindi limitarsi ad attendere le richieste inoltrate direttamente dall’utente al front desk, né pensare che la mediazione dei form accessibili dal sito istituzionale sia sufficiente. Non è così o almeno non lo è più. In particolare nel caso del servizio offerto in presenza, la crisi è sia nel numero dei contatti sia nei materiali di consultazione che rispondevano ai bisogni immediati. A questa situazione va associata la tendenza, che i motori di ricerca hanno fatto emergere chiaramente, alla convenienza più che alla profondità e raffinatezza della ricerca, anche negli studi accademici. Del resto proprio questo uso che privilegia la rapidità può fornire ai bibliotecari la possibilità di interagire in maniera differente, lavorando sull’attitudine a reperire informazioni in maniera meno superficiale, applicandola però a strumenti effettivamente utilizzati, per essere presenti lì dove l’aiuto è necessario. Se mai come oggi la quarta legge di Ranganathan diventa sinonimo di facilitazione all’accesso poiché è venuta meno la centralizzazione delle risorse in un luogo fisico, i bibliotecari devono imparare a misurarsi con diverse aspettative, in cui al ruolo di “cercatore di documenti” è subentrato quello di “costruttore di percorsi”. Ciò comporta necessariamente acquisire la capacità di applicare schemi di valutazione più problematici a informazioni pubblicate con modalità non convenzionali e allo stesso tempo imparare a comunicare questi modelli di valutazione. Incontrare gli utenti nel proprio point of need significa quindi sfruttare l’opportunità largamente inesplorata di offrire le competenze professionali di valutazione e orientamento in ambiente digitale, anticipando risposte a domande ancora non poste da una comunità di utenti infinitamente più vasta e variegata di quella tradizionale.
Diventa naturale uscire dalle mura della biblioteca per andare dove si manifestano i bisogni informativi, andando a scovare le domande lì dove vengono poste e iniziando a fornire risposte inattese: nei forum, nei blog, nelle pagine di discussione, con la consapevolezza che la sopravvivenza della professione è strettamente legata a quanto i bibliotecari riusciranno a sviluppare abilità connesse a un approvvigionamento informativo in continua trasformazione, indipendente dal valore istituzionale delle biblioteche. Se è plausibile che la missione delle biblioteche, con il suo focus sulla centralità dell’utente e dei suoi bisogni informativi, non muti nonostante siano mutati gli strumenti di lavoro primari, è altrettanto plausibile che se biblioteche e bibliotecari non si pongono domande complesse sulle «diverse abitudini informative dei loro utenti» rischiano di diventare sempre più marginali a causa dell’incapacità di uscire dalla propria comfort zone per comunicare con una generazione che ha già stabilmente modalità differenti di accedere a ciò che cerca: non si tratta più solo di capire «chi insegnerà come usare internet» ma di essere consapevoli che in rete la conoscenza si costruisce attraverso un processo sociale (che possiamo sintetizzare con il termine “conversazione”) e l’autorità non è più esclusivamente legata a un gruppo definibile di esperti.
Wikipedia come alleato
Nel caso di Wikipedia si ha a che fare con uno “strumento di ingaggio” diffuso globalmente che, nella sua diversità di metodo, ha allo stesso tempo forti caratteristiche in comune con le opere di consultazione classicamente utilizzate dai bibliotecari di reference: perché Wikipedia è un’enciclopedia e come tale ha una vocazione precisa. Ma da questa affinità emergono contemporaneamente alcune caratteristiche del tutto singolari.
Wikipedia nasce ufficialmente il 15 gennaio 2001 come progetto fratello di un’altra enciclopedia online, Nupedia, distinguendosene immediatamente per un fattore determinante: la modalità di creazione e pubblicazione dei contenuti. Nupedia si basava su un modello redazionale tradizionale articolato in sette passi, in cui la revisione tra pari e la correzione aperta delle bozze erano stadi intermedi di un processo che aveva come soggetti centrali il revisore principale e il capo dei correttori. Nupedia non era quindi innovativa dal punto di vista del processo di pubblicazione poiché i tempi erano tali da richiedere almeno due settimane prima che i materiali giungessero all’ultimo stadio di revisione. Wikipedia, a fronte di una struttura maggiormente caotica ma più partecipata, consentiva invece una produzione immediata e numericamente significativa dei contenuti grazie a una tecnica, ideata dal programmatore statunitense Ward Cunningham, che permetteva di modificare direttamente nel proprio browser, cliccando sul tasto modifica e utilizzando un linguaggio di markup estremamente semplificato, qualsiasi contenuto. Oltre a questa immediatezza uno dei fattori determinanti della rapida diffusione di Wikipedia è stata la sua inclusività. Dalla sua nascita infatti l’intera comunità che contribuiva alla redazione dei contenuti poteva contestualmente partecipare alla discussione su ciò che veniva pubblicato e sulle regole redazionali. Proprio questa continua conversazione ha fatto in modo che i wikipediani, a salvaguardia del progetto, scegliessero forme di autocritica, con l’applicazione di template di avviso per quei contenuti che non rispettavano alcuni dei criteri fondanti: la neutralità, il valore enciclopedico, il supporto di fonti attendibili e verificabili. Grazie a questo modello in sedici anni Wikipedia ha esponenzialmente aumentato la propria presenza in rete, arrivando a comprendere più di 280 differenti versioni linguistiche.
La caratteristica dell’inclusività, del tutto singolare quando è nata Wikipedia, è solo l’aspetto che ne ha reso più evidente la differenza con altri strumenti di consultazione simili. Ormai la creazione collaborativa di contenuti online è una pratica diffusa, accettata e facilitata da molteplici strumenti digitali. Dal punto di vista di chi deve cercare informazioni e capire se possono essere ritenute affidabili c’è una differenza in un certo senso più sostanziale. In un’enciclopedia generalista come Wikipedia, ogni voce esiste in un contesto fortemente strutturato grazie alla categorizzazione, all’uso dei template in funzione normalizzatrice delle informazioni, all’inclusione in specifici progetti tematici, nei quali vengono stabilite consensualmente le convenzioni per la pubblicazione fatti salvi i principi basilari (punto di vista neutrale, verificabilità delle fonti ecc.). Emerge quindi una forte capacità “normativa”, utile a estendere l’ambito di ricerca dal generale al particolare, che si rivela molto utile al bibliotecario perché determina un impatto nella definizione del bisogno dell’utente, passando da una necessità indistinta a una definizione cosciente: in sostanza le prime due fasi del modello di Taylor nell’intervista di reference. Se a questo associamo la natura ipertestuale, che si esprime sia verso l’interno (i wikilink e le voci correlate) sia verso l’esterno (note, bibliografia, collegamenti esterni e authority), vediamo una profonda differenza nella modalità di fruizione delle informazioni, rispetto ad altre risorse simili anche quando sono online. Grazie a queste due caratteristiche Wikipedia consente una sorta di contenimento dell’entropia, mantenendo il lettore all’interno (voci relative a uno stesso ambito disciplinare, argomento, periodo storico ecc.) o in prossimità dell’enciclopedia (fonti autorevoli relative all’argomento, utilizzate a supporto delle affermazioni), non negandogli contestualmente di arricchire le voci che sta consultando con ulteriori informazioni.
In Italia, in particolare dal 2012, il dibattito in ambito professionale su Wikipedia si è concentrato più che sulla qualità dei contenuti, sull’approccio “wiki” come buona pratica di costruzione sociale della cultura, sul modello redazionale in un ecosistema informativo in continua mutazione e sulle possibilità di riuso dell’enorme mole di dati in differenti contesti, possibilità garantita dalle licenze utilizzate nei progetti Wikimedia.
Non a caso, negli ultimi anni, strumenti open di settore sviluppati in Italia, pubblici o commerciali, quando hanno adottato un approccio arricchito delle risorse veicolate, lo hanno fatto integrando informazioni dall’enciclopedia, spesso tramite Wikidata, uno degli ultimi progetti nati in casa Wikimedia. È il caso del Nuovo soggettario con il rinvio dei termini del Thesaurus alla corrispondente voce nella Wikipedia in italiano, di OpenMLOL che per ogni autore presente nella biblioteca digitale mostra l’incipit della corrispondente voce dell’enciclopedia (oltre ai link verso la voce completa, l’immagine in essa presente e il link al cluster VIAF), di SHARE Catalogue che fra i link agli authority esterni, oltre a VIAF, ISNI, BNF e Library of Congress, punta anche a Wikidata.
Wikidata è una base di conoscenza secondaria accresciuta collaborativamente che raccoglie, oltre ai dati essenziali dei progetti Wikimedia in forma “proprietà:valore”, anche informazioni provenienti da fonti esterne, come ad esempio gli authority delle agenzie bibliografiche internazionali. L’integrazione di questa tipologia di identificativi sta mostrando sviluppi interessanti frutto della coesistenza di dati bibliografici e dati di natura completamente differente (biografici, amministrativi, di georeferenziazione ecc.), in particolare interrogando Wikidata tramite il query service SPARQL.
Oltre l’information literacy: media literacy e cultura partecipativa
Uno studio condotto sulle strategie di ricerca di 48 studenti dell’Università degli studi di Padova ha rilevato una sostanziale difficoltà nel reperimento delle informazioni in rete e nell’utilizzo efficace dei motori di ricerca, dovuta non a carenti competenze tecniche, quanto piuttosto alla difficoltà nel gestire la quantità e la qualità del flusso informativo. La grande mole di dati a cui quotidianamente si è esposti rende infatti probabile il rischio di subire un sovraccarico informativo dal punto di vista cognitivo e addirittura una forma di information anxiety a livello emotivo. Dare per scontato che gli utenti più giovani, seguendo la definizione che li etichetta come nativi digitali rispetto alla precedente generazione di digital immigrant, abbiano sviluppato delle competenze meta-cognitive al pari di quelle tecniche-operative è dunque rischioso e può far perdere di vista quanto invece abbiano bisogno di essere alfabetizzati in ambito mediale. I dati emersi confermano che la quasi totalità degli studenti inizia la propria ricerca partendo da Google, fermandosi dal punto di vista strategico alle prime pagine restituite dal motore di ricerca e tendendo a selezionare le informazioni che confermano le proprie opinioni, muovendosi all’interno di una grande eco chamber online. La ricerca inoltre testimonia che solo una parte marginale del gruppo di studio si è cimentato nella produzione di contenuti culturali online e conosce poco o per nulla le licenze Creative commons e il modo di trattare i contenuti protetti da copyright.
Il Piano nazionale scuola digitale, documento di indirizzo che il MIUR ha varato il 27 ottobre 2015, insiste proprio su quanto sia cruciale lavorare per rafforzare le competenze relative alla comprensione e produzione di contenuti anche in ambiente digitale, nel quale prevalgono granularità e frammentazione, focalizzando i propri sforzi su nuove forme di alfabetizzazione. Il passaggio da un Internet uno-a-molti, percepito come un altrove virtuale, alla vita onlife teorizzata da Luciano Floridi, ha determinato infatti una frammentazione dell’information literacy in literacy multiple tra cui la wiki literacy può giocare un ruolo centrale agendo non solo nell’ambito delle abilità tecniche e meta-cognitive ma anche in quello delle abilità socio-culturali. In un contesto di forte disintermediazione, educare all’uso cosciente di una fonte secondaria come Wikipedia ha la funzione sia di abituare l’utente a trattare con il sovraccarico informativo e a dominare l’information anxiety, sia di fornire gli strumenti per discriminare nel lavoro di ricerca le affermazioni infondate, acquisendo il concetto di verificabilità delle fonti come meccanismo per la valutazione delle argomentazioni e di neutral point of view come pratica espositiva.
Wikipedia inoltre, non rispondendo a un controllo editoriale centralizzato, scardina il vecchio modello d’uso meramente consultivo delle fonti enciclopediche rappresentando uno strumento di lavoro atipico. Il principio di autorità su cui si basano le enciclopedie tradizionali lascia il posto al concetto di “autorialità collettiva” in cui amministratori ed editori fanno parte della stessa comunità di pratiche estesa ed eterogenea. Tale comunità condivide valori e finalità e opera volontariamente, arricchendo l’enciclopedia e vigilando affinché i contenuti pubblicati rispondano ai pilastri sui quali si regge. La decisione finale sul mantenimento o meno di un lemma si basa sul raggiungimento del consenso o, in ultima istanza, su una votazione democratica. Confrontarsi nella ricerca, così come nella stesura di voci, con uno strumento del genere significa acquisire competenze quanto mai necessarie per comprendere l’universo mediale attuale: capacità di interagire e creare contenuti in un ecosistema informativo collaborativo online, contribuendo alla crescita qualitativa e quantitativa dei contenuti aperti, esercitandosi nell’arte della mediazione, dell’argomentazione delle proprie idee e del rispetto delle opinioni altrui. Le competenze sviluppate non saranno dunque solo inerenti allo sviluppo del senso critico e della meta-cognizione, e neanche solo tecniche e strumentali, ma riguarderanno la dimensione etica e comunicativa, in particolar modo dialogico-argomentativa necessaria nelle frequenti interazioni con gli altri editor e con gli amministratori. L’enciclopedia rappresenta proprio per questo un esempio di cultura partecipativa nella quale si assiste alla demolizione delle barriere tra autori professionali e amatoriali, la cui distinzione diviene molto più sfumata, in cui ogni membro è convinto dell’importanza del proprio contributo e si sente connesso agli altri, anche grazie all’aiuto dei partecipanti più esperti che condividono conoscenza con i principianti, attraverso una forma di mentorship informale. Ogni lemma dell’enciclopedia è un “artefatto condiviso”, prodotto da una comunità in cui ognuno agisce da protagonista, trovando le proprie nicchie di competenze e di lavoro.
Il focus si sposta dunque dall’alfabetismo in senso stretto alla digital e media literacy, cioè all’acquisizione delle competenze necessarie per decodificare, valutare, analizzare e produrre informazione utilizzando media sia analogici che digitali, avendo verso di essi un approccio critico e apprendendone l’uso in maniera creativa, dunque non solo più come consumer, ma come produser. La conquista del ruolo di contributore del dibattito scientifico viene considerato l’obiettivo di ogni percorso di information literacy così come descritto dal nuovo Framework for Information literacy for higher education: «Senza dimenticare che anche uno studente può diventare creatore di contenuti autorevoli, a condizione che sia consapevole che l’autorevolezza è una responsabilità». In questo nuovo duplice ruolo risulta particolarmente rilevante acquisire consapevolezza delle tematiche riguardanti il copyright, sopratutto per le giovani generazioni, nell’ambito dell’educazione alla legalità. Wikipedia infatti, come i progetti fratelli della galassia Wikimedia, adotta licenze di tipo Creative commons alternative al modello del copyright tradizionale, rendendo necessaria una riflessione e una formazione continua sul tema.
GLAM e #1Lib1Ref: moltiplicare i canali di accesso alla biblioteca
Stop lending and start sharing David Lankes
Nel suo intervento per il Convegno Stelline del 2016, Sari Feldman, parlando di sharing economy, sottolinea come una delle questioni chiave del digitale sia la transizione dal consumo alla creazione di contenuti. Le biblioteche, in questo scenario, hanno un futuro se spostano il proprio focus dal patrimonio in quanto oggetto a ciò che esso può generare dall’interazione con una comunità potenziale. Contestualizzando in un progetto globale come Wikipedia, un esempio di interazione è l’intervento sulle voci enciclopediche carenti di fonti, che si traduce nel lavorare sulla verificabilità delle affermazioni, elemento cruciale nella costruzione dell’enciclopedia. Per questo scopo è stata ideata la campagna “#1Lib1Ref, One librarian, one reference” che, sfruttando le competenze specifiche dei bibliotecari, richiede la loro partecipazione nell’interesse collettivo di migliorare la qualità delle informazioni dove non siano sufficientemente supportate. Il vantaggio è duplice: mentre i bibliotecari possono valorizzare la propria professionalità moltiplicando l’impatto delle tradizionali risposte di reference, anticipandole e allo stesso tempo raggiungendo una tipologia di fruitori estremamente più varia, Wikimedia riesce a coinvolgere sempre più professionisti degli istituti culturali nei propri progetti, guadagnandone in ricchezza e accuratezza delle informazioni. Nel 2016 cinquecento bibliotecari hanno risposto all’appello, contribuendo con oltre 1.200 citazioni e avviando un confronto nella comunità professionale sul ruolo che Wikipedia ha assunto nel nuovo ecosistema informativo. I numeri sono impressionanti se pensiamo che, prima della campagna del 2017, le voci nelle quali era presente l’avviso “citazione necessaria”, solo nella Wikipedia in inglese, erano oltre 300.000. Un bacino d’intervento enorme che prefigura una partecipazione sistematica e duratura, considerando che se l’uso di Wikipedia per determinare le proprie necessità di ricerca è la migliore delle ipotesi in un contesto di diffusa superficialità, contrastare questa superficialità vuol dire interagire con Wikipedia lì dove è esercitabile l’esperienza che un bibliotecario di reference acquisisce durante il lavoro quotidiano. Nelle intenzioni della Wikimedia Foundation quella con le biblioteche è una partnership strategica per affermare scopi comuni: creare, migliorare, sviluppare, disseminare globalmente prodotti della conoscenza innovativi a scopo educativo, promuovendo iniziative che favoriscano l’accesso al patrimonio culturale e scientifico, ai prodotti della ricerca e l’information literacy come processo di empowerment dei cittadini.
Anche per questo fine nasce il progetto GLAM-Wiki che coinvolge gallerie, biblioteche, archivi e musei per arricchire i progetti Wikimedia di contenuti autorevoli provenienti dalle collezioni di questi istituti nell’ottica di aumentarne l’impatto a livello globale. Partecipare al progetto GLAM significa abbandonare una tendenza biblio-centrica e identitaria, che Lorcan Dempsey definisce outside-in, secondo un modello centrato sulle collezioni custodite dalla biblioteca e rese accessibili all’utente nei propri locali, per ambire al ruolo di inside-out library, una biblioteca che, centrata sulla comunità, dissemina all’esterno la conoscenza prodotta dalle collezioni e moltiplica i propri canali di accesso. La comunità di riferimento sarà formata da utenti, ma anche da altre istituzioni culturali, con cui scambiare nuove forme di dati, strutturati in modo aperto, semplificando l’accesso, il processo di documentazione, la creazione di conoscenza. Un lavoro adatto ai bibliotecari che, in un’ottica non proprietaria, hanno la possibilità di far convergere bisogno informativo verso quei materiali, con l’effetto collaterale di definire le strategie di digitalizzazione, «abdica[ndo] al prestigio per concentrarsi sull’impatto».
Panorama ormai ricchissimo quello delle collaborazioni GLAM internazionali, in particolare da quando l’attenzione si è spostata sulle possibilità di integrazione dei materiali fra varie piattaforme a partire da Commons, Wikisource e Wikidata.
Fra i tanti vale la pena ricordare il progetto GLAM/Bodleian Libraries, che tra aprile 2015 e maggio 2016 ha visto la residenza di un esperto wikimediano allo scopo di caricare in Commons una selezione di oltre 8.000 immagini provenienti dalle collezioni antiche e di pregio come la Bodleian Maps Collection, così come da quelle meno convenzionali, come la John Johnson Collection of Printed Ephemera. Queste immagini, in alcuni casi utilizzate in voci appartenenti anche a quindici differenti versioni linguistiche dell’enciclopedia, hanno totalizzato complessivamente, nel periodo successivo alla residenza fino a marzo 2017, una media di oltre tre milioni e mezzo di visite mensili alle pagine di Wikipedia nelle quali sono presenti.
Altro esito estremamente interessante è quello dell’aggiornamento delle informazioni di un’immagine presente nelle collezioni digitali in pubblico dominio della Library of Congress, immagine relativa al massacro di Wounded Knee, in seguito al miglioramento della stessa immagine trasferita su Commons, basandosi sui nuovi dettagli emersi dal “restauro digitale”.
E ancora: uno dei progetti di maggior impatto è stato quello relativo all’integrazione dei dati di autorità provenienti dal Virtual International Authority File (VIAF) in centinaia di migliaia di voci nella versione linguistica inglese di Wikipedia, tramite un bot e un algoritmo di abbinamento appositamente sviluppato, progetto nato grazie ai “wikipediani in residenza” presso OCLC e British Library. Un’attività dalla ricaduta enorme se consideriamo che negli anni successivi, grazie alla presenza di questi dati in maniera centralizzata su Wikidata e ai template di authority control creati dalle diverse comunità linguistiche, gli identificativi sono stati integrati in tutte le maggiori versioni dell’enciclopedia.
Anche il panorama delle collaborazioni italiane è ormai molto ricco, tanto da rendere difficile restituirne la varietà. A titolo di esempio citiamo due progetti i cui risultati ci sembrano di particolare interesse. Il progetto GLAM/Biblioteca comunale di Trento, nato da una collaborazione fra la Biblioteca comunale di Trento e Wikimedia Italia nell’autunno del 2015, rientra nei progetti di Servizio civile universale provinciale approvati e finanziati dalla Provincia autonoma. Oltre alla creazione di voci nell’enciclopedia relative ad autrici e autori trentini, il collegamento tra l’OPAC della biblioteca e i molti testi di autori trentini digitalizzati in Wikisource, al progetto monografico dedicato a Cesare Battisti e la relativa, ricchissima digitalizzazione di monografie in pubblico dominio caricate per la trascrizione collaborativa, spiccano per importanza la digitalizzazione, pubblicazione e trascrizione sempre in Wikisource di un esemplare manoscritto del 1602 de La città del sole di Tommaso Campanella.
Altro esempio di fruttuosa collaborazione è il progetto GLAM/BEIC. Nato da un accordo fra la Fondazione BEIC e Wikimedia Italia, il progetto ha visto, a partire da settembre 2014, la presenza di un wikipediano in residenza, figura di facilitatore che ha supportato gli obiettivi di rilascio dei ricchissimi materiali provenienti dalla biblioteca digitale dell’istituto e il caricamento del fondo Paolo Monti, composto da circa 17.000 immagini, su Wikimedia Commons, primo caso di un archivio di un grande fotografo italiano reso disponibile online con licenza libera, oltre a essere la più grande donazione di immagini di un’istituzione italiana ai progetti Wikimedia. Lo sviluppo più recente del progetto, presentato anche al Convegno Stelline 2017, è centrato sulla georeferenziazione delle immagini del fondo Monti su OpenStreetMap, allo scopo di valorizzare l’opera del fotografo, favorendone la fruizione libera anche al di fuori dei progetti Wikimedia.
Ognuno dei progetti citati può ritenersi riuscito nella misura in cui ha richiesto una trasformazione del punto di vista a partire dalla formazione stessa dei bibliotecari. Preoccuparsi del copyright non deve significare più solo quantificare le copie cartacee o digitali che gli utenti possono ottenere di un’opera presente nelle collezioni, ma essere preparati a capire quale licenza consenta di utilizzare liberamente una risorsa per fini non predeterminati, privilegiando l’accesso libero e digitale piuttosto che focalizzare sul possesso dell’esemplare a fini conservativi. In questa trasformazione un’attenzione specifica va riservata ai dati bibliografici che possono generare risposte e tipologie di analisi completamente differenti solo quando le biblioteche, incrementandone valore e utilità, li rendono disponibili al di fuori dello stretto contesto degli strumenti tradizionali.
In progetti come Wikipedia, Commons, Wikisource e Wikidata ciò che si amplifica è proprio il potenziale informativo di risorse e collezioni che le biblioteche già posseggono, in piattaforme ad alta visibilità che hanno la funzione di moltiplicare le possibilità di accesso, riuso e contestualizzazione in progetti culturali innovativi. Questa pratica, che coinvolge risorse documentarie, dati, servizi, ha senso solo se biblioteche e bibliotecari prendono coscienza del valore generativo di nuovi prodotti della conoscenza, valore non conoscibile a priori.
In altre parole se, come ci suggerisce Lankes, il nostro ruolo è migliorare la società facilitando la creazione di conoscenza nelle comunità di riferimento, allora dobbiamo usare know-how e collezioni per creare, insieme alla nostra comunità, i tipi di risorse necessarie per migliorarla.