La “terza missione” dell’università: cos’è, come si valuta (con un’appendice sulle biblioteche)
Biblioteca “Norberto Bobbio”, Università degli studi di Torino; maria.cassella@gmail.com
Per tutti i siti web l’ultima consultazione è stata effettuata il 30 ottobre 2017.
Abstract
La terza missione dell’università è un tema sul quale da alcuni anni si discute animatamente anche in Italia. È la missione imprenditoriale, sociale, culturale dell’università. L’articolo affronta il tema della valutazione della terza missione, analizzandone alcuni nodi critici e tipici come, ad esempio, il suo rapporto molto stretto con il territorio di riferimento, il problema di metriche ancora instabili, la mancanza di consapevolezza rispetto alle attività che vengono svolte sovente a titolo personale dai docenti e non risultano istituzionalizzate. L’autrice analizza anche brevemente il percorso della terza missione in Italia fino all’ultimo esercizio di Valutazione della qualità della ricerca (VQR 2011-2014), commentando alcuni risultati sulla base del Rapporto finale sulla terza missione della Commissione di esperti della valutazione della terza missione. Infine la terza missione viene messa in relazione con le biblioteche accademiche. Attualmente in Italia non esiste un quadro di riferimento concettuale che aiuti a riflettere sul ruolo che le biblioteche accademiche possono svolgere nella terza missione. Ciononostante, con grande entusiasmo, da qualche anno le biblioteche accademiche moltiplicano le attività, le iniziative e gli eventi di public engagement, dimostrando così un interesse ma anche un concreto ruolo da svolgere rispetto alla terza missione. La Terza missione offre così l’opportunità di ripensare al ruolo della biblioteca accademica. Si intravede la nascita di un nuovo modello di biblioteca sul quale occorrerà riflettere.
English abstract
The article deals with the topic of the “third mission” (or “third stream”), the social and cultural stream of the University. The author analyses some critical and typical nodes in the evaluation of the third mission, such as its strict relationship with the territory, the problem of unstable metrics, the lack of awareness as some activities are still not institutionalized. The author also analyses the evolution of the third mission evaluation in Italy up to the last Italian research assessment exercise (VQR 2011-2014). Finally, the article discusses the third mission in relation to academic libraries. Currently, in Italy no conceptual framework can be found that helps to reflect on the role that academic libraries can play in the third mission. Nevertheless, academic libraries are strengthening their activities, initiatives and events of public engagement. By doing so, they show they have a concrete role to play in the development of the third mission.
Nelle università italiane domina, ormai da qualche anno, il tema della “terza missione”. In quanto luogo principe deputato alla produzione di conoscenza, l’università è indicata come il motore di diffusione della scienza e della cultura nella società.
Il dibattito sul ruolo imprenditoriale, culturale e sociale dell’università non è recentissimo. Nel mondo anglosassone matura tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta quando i primi tagli ai finanziamenti delle università impongono di cercare nuove fonti di finanziamento e l’università rivolge il suo sguardo verso il mondo imprenditoriale. Negli Stati Uniti nel 1980 viene emanato il Bayh-Dole Act che consentiva alle università di trasferire in esclusiva la proprietà di molte invenzioni finanziate con risorse pubbliche ai fini della loro commercializzazione. «Il Bayh-Dole Act» – scrivono Abramo e Pugini – «è unanimemente riconosciuto come il catalizzatore di un processo di evoluzione della mission delle istituzioni pubbliche di ricerca, Ipr (università ed enti pubblici di ricerca) che sono andate gradualmente assumendo un ruolo sempre più diretto e incisivo nelle dinamiche di innovazione e sviluppo industriale».
In Italia il dibattito sulla terza missione dell’università è presente dalla metà degli anni Novanta, ma è solo più di recente, con un certo ritardo, che le università italiane hanno raggiunto una nuova consapevolezza circa l’importanza che le attività di terza missione rivestono per lo sviluppo sociale e imprenditoriale del territorio e per il futuro dell’università stessa.
Alcuni fattori concomitanti hanno favorito la crescita delle attività e del dibattito sulla terza missione:
- il nuovo forte ruolo politico che l’università evoca a sé rispetto al territorio;
- l’importanza crescente delle fonti di finanziamento private ed esterne all’università;
- la nuova prospettiva globale rispetto all’education favorita dal movimento dell’open education, dalla mobilità studentesca e dal successo dei massive open online courses (MOOCs);
- da ultimo ma non per ultimo, l’inserimento da parte dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) delle attività di terza missione negli esercizi di valutazione degli atenei italiani.
In questo contributo ci interessa esaminare cosa è la terza missione e come la si valuta in Italia, l’evoluzione della sua valutazione a partire dalla VQR 2004-2010. Cercheremo anche di evidenziare alcuni elementi che rendono peculiare la misurazione e valutazione della terza missione. L’ultimo paragrafo è dedicato alle biblioteche accademiche e al loro possibile ruolo nello sviluppo di attività di terza missione.
Che cos’è la terza missione: alcune definizioni
La terza missione è la missione sociale e culturale dell’università. Segue la ricerca e la didattica che restano le due missioni tradizionali, cardini dell’università. In qualche modo sia la ricerca che la didattica, soprattutto quest’ultima, veicolano dei valori sociali, così come d’altro canto numerose attività di terza missione possono essere ricondotte sia all’ambito della ricerca che a quello della didattica.
Esiste, tuttavia, una peculiarità: «ciò che fa la differenza rispetto alla tradizione humboldtiano-napoleonica […] è dato appunto dal coinvolgimento diretto (sia pure sotto forme molteplici) di attori esterni e, al tempo stesso, dal loro essere parte, individualmente o collettivamente, anche della finalità dell’esercizio della Terza missione».
Pitrone in un articolo pubblicato sulla rivista «Studi di sociologia» fa un’interessante analisi delle varie definizioni di terza missione: da quelle più generiche, come quella dell’Higher Education Funding Council for England (Hefce) che definisce la terza missione come «l’interazione tra istituzioni universitarie e istituzioni esterne nei settori del privato, pubblico e del volontariato, oltre con la società nel suo insieme», a quelle che privilegiano il rapporto con il mercato (ad esempio quella di Etzkowitz che esaminiamo più avanti), a quelle che aprono una riflessione sul ruolo dell’università che «alimenta il sistema locale [...] promuove progetti di innovazione e di cambiamento del territorio, trasferisce servizi e modelli di sviluppo di nuove tecnologie, attivando nello stesso tempo processi di retroazione, che trasformano l’università stessa, rendendola più sensibile alle problematiche e alle necessità delle imprese e/o di un territorio».
Nel concreto le attività di terza missione si scindono in due aree molto estese: quella del rapporto con le imprese e con il mercato e quella della valorizzazione dei beni pubblici.
Alla prima area vengono ricondotte tutte le attività collegate con la valorizzazione economica della ricerca e con il trasferimento tecnologico: brevetti, imprese spin-off, ricerca conto terzi, incubatori ecc.
Sotto il profilo teorico l’importanza di valorizzare le attività legate al trasferimento tecnologico matura con l’affermazione del cosiddetto modello della “tripla elica” immaginata da Etzkowitz e Leydesdorff.
Secondo gli autori Università, Stato e mercato sono tre strutture interconnesse in una forma organizzativa in continua trasformazione ed evoluzione. Il modello più avanzato di tripla elica si concretizza in una serie di iniziative e di alleanze trilaterali che vede università, Stato e mercato interagire per realizzare un ambiente innovativo: «The common objective is to realize an innovative environment consisting of university spin-off firms, tri-lateral initiatives for knowledge-based economic development, and strategic alliances among firms, large and small, operating in different areas, and with different levels of technology, government laboratories, and academic research groups».
In concreto, da alcuni anni, le università appaiono sempre più strettamente legate al mondo dell’economia e dell’industria «visto tanto come potenziale fornitore di risorse quanto come fonte di domanda di lavoro altamente formata e anche di definizione di profili formativi e di prodotti della ricerca». Questa visione imprenditoriale dell’università non è scevra da critiche e rischi. Alla seconda area si possono, invece, ricondurre le attività di tipo culturale e sociale, nelle quali rientrano: la produzione e valorizzazione dei beni pubblici (ad esempio: i beni culturali di ateneo), il public engagement e la formazione continua (lifelong learning). Questa seconda area di attività di terza missione matura successivamente alla prima. Include una gamma molto ampia di iniziative, prevalentemente orientate al grande pubblico, alle associazioni e agli ordini professionali, alle scuole e al settore culturale. In quest’ultimo caso le attività sono organizzate in stretta sinergia con musei, archivi e biblioteche.
Pur nella peculiarità e complessità di prodotti tra loro molto eterogenei «sarebbe sbagliato considerare queste aree come completamente disgiunte tra loro». La terza missione va concepita, infatti, in una visione olistica. Essa ha come obiettivo una diversità di benefici per la società. A differenza della didattica e della ricerca che sono una responsabilità individuale dei docenti, la terza missione è, infatti, una responsabilità istituzionale di ciascun ateneo.
La misurazione e valutazione della terza missione in Italia
La misurazione e valutazione della terza missione è un’attività complessa che pone sfide particolari:
- pochi dati consolidati, poco strutturati e non sempre standardizzabili;
- una variabile territoriale estremamente significativa;
- un confine labile tra attività realizzate per scopi individuali (carriera accademica, prestigio personale) e attività realizzate a livello e per scopi istituzionali.
Non diversamente dalla didattica e dalla ricerca e nonostante le difficoltà implicite nell’analisi di un fenomeno così complesso, la misurazione e valutazione della terza missione sono oggetto da alcuni anni di una crescente attenzione sia a livello locale e regionale che a livello nazionale.
Di fatto, nella VQR 2004-2010, completata nell’agosto 2013, le università sono state coinvolte dall’Anvur in una prima raccolta nazionale di dati sulla terza missione. Sono stati definiti alcuni indicatori relativi sia al trasferimento tecnologico che alle attività di tipo culturale e sociale (per l’esattezza: l’alta formazione, le risorse proprie utilizzate per progetti di ricerca, gli importi dei contratti di ricerca o consulenza acquisiti con committenza esterna, i brevetti, gli spin-off, gli incubatori, i consorzi partecipati, gli scavi archeologici, i poli museali, infine un indicatore relativo ad altre attività non comprese nelle prime nove).
I risultati rappresentano una prima misurazione delle attività di terza missione in Italia che evidenziava già limiti di metriche ancora instabili e di affidabilità delle fonti dei dati.
Il punto di partenza per l’accreditamento istituzionale della terza missione sono il decreto legislativo n. 19 del 27 gennaio 2012 e il successivo decreto ministeriale, Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, n. 47 del 30 gennaio 2013 che hanno riconosciuto la terza missione come missione istituzionale dell’Università accanto alle tradizionali missioni di ricerca e didattica.
Il primo definisce i principi attuativi del sistema di Autovalutazione, valutazione periodica e accreditamento (AVA).
Nel d. m. MIUR n. 47/2013 l’Allegato E (Indicatori e parametri per la valutazione periodica della ricerca e delle attività di terza missione) definisce alcuni parametri per la valutazione della terza missione: attività di divulgazione scientifica, numero medio di brevetti per docenti, numero di spin-off, rapporto fatturato conto terzi e progetti di ricerca vinti/numero di docenti, numero di attività extra-moenia.
Nel novembre 2014 prende avvio la prima valutazione delle attività di ricerca dei dipartimenti universitari attraverso la compilazione della Scheda unica annuale per la ricerca dipartimentale (SUA-RD). All’interno della SUA-RD l’Anvur decide di inserire una parte per la raccolta di dati strutturati sulla terza missione: la SUA- Terza missione (SUA-TM).
Tra le attività individuate per la rilevazione rientrano: brevetti, imprenditorialità accademica (imprese spinoff), attività conto terzi, incubatori, enti di ricerca e consorzi, public engagement, formazione degli adulti (incluse le attività di educazione continua in medicina), poli museali, scavi archeologici, immobili storici e attività di sperimentazione clinica.
Più consolidate e mature appaiono nella misurazione le attività legate al trasferimento tecnologico per il loro impatto economico sul territorio.
La ricerca applicata e il trasferimento tecnologico hanno, infatti, un’importanza strategica per le piccole e medie imprese (PMI) presenti sul territorio che con difficoltà riescono a trovare le risorse finanziare e le competenze necessarie per rispondere alle richieste di innovazione del mercato. D’altro canto, invece,
uno dei compiti fondamentali delle università nel contesto della Terza missione è aiutare i territori a compiere i “salti” che altrimenti non avrebbero le risorse per compiere, in particolare, per quanto riguarda la valorizzazione economica della ricerca, accedendo alle reti mondiali di produzione e circolazione della conoscenza (global value chains, GVC). Sotto questo profilo, deve essere incoraggiata la capacità delle università di portare sul territorio contatti e opportunità di networking di scala internazionale.
Il processo di trasferimento tecnologico si configura anche come un trasferimento di conoscenze. Nella migliore delle ipotesi esso «non si limita a trasferire un’innovazione incorporata in un dispositivo fisico, bensì configura lo sviluppo di un comune percorso cognitivo di apprendimento sul campo, coniugando il background tecnico-scientifico degli attori esterni [le università n.d.a.] con le esigenze specifiche e l’esperienza tecnica dell’imprenditore e degli specialisti aziendali».
Maggiormente legati all’area delle scienze umane, e sotto alcuni aspetti meno maturi, appaiono gli indicatori di produzione e gestione dei beni culturali: la conservazione e gestione dei poli museali, la realizzazione di scavi archeologici e la gestione e manutenzione degli edifici storici.
Entrano nella misurazione il public engagement, un’area molto estesa che comprende una miriade di iniziative di promozione e collegamento tra scienza e società, e le attività di sperimentazione clinica.
La valutazione della terza missione nella VQR 2011-2014
Con il d. m. MIUR n. 458/2015 e il successivo bando VQR 2011-2014, si avvia la misurazione e valutazione della terza missione nell’ambito dell’ultimo esercizio di valutazione nazionale. La finalità di inserire la terza missione nella VQR 2011-2014 era quella di promuovere tra le istituzioni una maggiore consapevolezza di questo tipo di iniziative.
L’Anvur ha deciso, pertanto, di istituzionalizzare le attività di terza missione rendendo periodica la loro rilevazione. Infatti, come scrive Andrea Bonaccorsi: «non si tratta più di una aggiunta estemporanea, volontaristica o dipendente dalle risorse di volta in volta disponibili. La Terza missione è parte integrante della strategia di ogni università o ente di ricerca e viene valutata con le stesse scadenze della VQR […]. In questo modo si compie un gran balzo in avanti nella consapevolezza del rapporto con il mondo esterno».
La metodologia
Nella VQR 2011-2014 la valutazione della terza missione è stata affidata a una Commissione di esperti della valutazione della terza missione (CETM) che successivamente è stata scissa in due sottocommissioni:
- Valorizzazione della ricerca (CETM A);
- Produzione di beni pubblici di natura sociale, educativa e culturale (CETM B).
La metodologia di valutazione utilizzata è stata quella della peer review informata ovvero un’analisi dei dati quantitativi ottenuti mediante il giudizio esperto, sulla base delle indicazioni contenute Manuale per la valutazione della terza missione nelle università italiane e nel documento dei Criteri per la valutazione delle attività di terza missione delle università e degli enti di ricerca.
Gli indicatori utilizzati sono stati quelli rilevati per la scheda SUA-TM 2014. I dati del 2014 sono stati, quindi, integrati con i dati mancanti relativi agli anni 2011, 2012 e 2013. La rilevazione dei dati è stata fatta prevalentemente a livello istituzionale. I dati relativi a conto terzi, scavi archeologici, tutela della salute, formazione continua e public engagement sono stati rilevati sia a livello istituzionale che a livello di dipartimento.
Le informazioni raccolte sono state, quindi, arricchite da un questionario che mirava a comprendere se la terza missione fosse stata incardinata negli organici degli atenei, se esistesse un’attività di rilevazione e monitoraggio continuativa e l’integrazione tra le diverse funzioni di terza missione.
I risultati… in generale
Emerge dai risultati della misurazione, analizzati nel Rapporto finale sulla terza missione della Commissione di esperti della valutazione della terza missione, un quadro non omogeneo in relazione alle attività di terza missione svolte dalle università italiane.
Sotto il profilo quantitativo le schede compilate corrispondono a un 70% di quelle attese. Giorgio Chiarelli, coordinatore della CETM B dell’Anvur, legge questo risultato parziale come una possibile mancanza di consapevolezza rispetto alle attività di terza missione svolte dalle università, più che come un vero e proprio deficit di iniziative.
Sebbene in ritardo rispetto ad altri paesi europei la situazione, tuttavia, sta velocemente maturando anche in Italia. A partire dal Duemila, infatti, le università italiane hanno introdotto diverse innovazioni istituzionali e organizzative volte a sostenere le attività di terza missione e il rapporto con il territorio.
A tal riguardo si registra un notevole grado di maturazione organizzativa raggiunto dalle attività di trasferimento tecnologico negli atenei italiani grazie alla creazione di uffici, diversamente denominati, dedicati al trasferimento tecnologico (UTT). Obiettivo degli UTT è quello di valorizzare i risultati della ricerca pubblica nei confronti del sistema economico e imprenditoriale, degli enti e delle istituzioni pubbliche.
Si evidenzia una crescita costante sia delle unità di personale impiegato in tali uffici sia delle competenze professionali legate alla terza missione. In taluni atenei sono state create delle funzioni apicali per la terza missione.
Un forte impulso alla valorizzazione del rapporto tra scienza e società arriva anche dal network interuniversitario Netval (Network per la valorizzazione della ricerca universitaria). Netval «promuove la cultura e le buone pratiche del trasferimento tecnologico anche attraverso il coinvolgimento del mondo delle imprese».
I risultati della misurazione della terza missione rivelano che le attività di valorizzazione promosse nelle cosiddette “scienze dure” sono più mature di quelle messe in atto nelle scienze umane.
Il divario, più qualitativo che quantitativo in realtà, tra le iniziative di terza missione legate al segmento delle scienze dure e quelle realizzate nelle scienze umane può avere letture di tipo diverso. Da un lato il dato va interpretato come reazione alla crisi delle immatricolazioni che ha interessato le materie scientifiche più che quelle umanistiche: di fatto è innegabile il risvolto promozionale sul territorio che le attività di terza missione portano con sé. Dall’altro appare evidente come esista una maggiore diffusa percezione di deficit di conoscenza nelle discipline scientifiche che non in quelle umanistiche, che sotto il profilo epistemologico appaiono naturalmente orientate ai temi di natura sociale. Emerge dall’analisi qualitativa delle attività realizzate dagli atenei una predominanza del “modello del deficit”, ovvero di quello che è il modello più tradizionale di interazione tra scienza e società basato sulla consapevolezza di colmare un divario di conoscenze tra pubblico e scienza. Più efficaci risulterebbero, invece, i modelli successivi del dialogo e della partecipazione che prevedono un coinvolgimento attivo da parte di cittadini, imprese ecc.
Infine, a favore delle attività di terza missione nelle scienze dure va registrato il successo di un nutrito elenco di iniziative concepite per la divulgazione della conoscenza scientifica: la Notte europea dei ricercatori (European researchers’ night, ERN), la Settimana della cultura scientifica, le varie Olimpiadi di matematica, della fisica e della chimica, le MasterClasses di fisica coordinate dall’Istituto nazionale di fisica nucleare, Pint of Science ecc. I Giovedì della scienza e il Festival dell’innovazione e della scienza sono, invece, due eventi di divulgazione scientifica circoscritti alla Regione Piemonte. Una forte spinta alla valorizzazione della ricerca nelle scienze dure viene anche dall’attività dei musei scientifici, che costituiscono un nodo fondamentale nel nesso tra scienza e società.
Sul versante delle scienze umane e sociali un’esperienza di successo di public engagement è, in area giuridica, quella delle “cliniche legali” che si propongono, da un lato, come momento formativo per gli studenti che, coordinati da docenti, lavorano per affrontare casi della giustizia sociale, dall’altro come strumento per migliorare l’accesso alla giustizia per individui e organizzazioni vulnerabili e sottorappresentati (ad esempio migranti, bambini, persone con disabilità, detenuti ecc.).
La misurazione della terza missione in Italia ha raggiunto, a oggi, un discreto livello di maturazione. Discreto ma ancora insufficiente.
Da un lato è necessario individuare indicatori più robusti in relazione alle attività di valorizzazione dei beni pubblici sociali, culturali ed educativi. Anche in questo caso andranno adottate metriche adeguate al contesto. Ad esempio per misurare le attività di valorizzazione dei beni culturali che hanno una loro dimensione territoriale essendo legate alla ricchezza del patrimonio storico e alla vivacità delle iniziative culturali promosse a livello locale.
Dall’altro sembra necessario lavorare affinché: «la Terza missione delle università venga sempre più spesso citata, descritta e valutata. A questo punto è però auspicabile un ulteriore passo avanti, mettendo a disposizione finanziamenti per le università e gli Enti più performanti e propositivi. I finanziamenti potrebbero essere erogati anche a fronte di progetti congiunti presentati da più organizzazioni».
Infine, come suggerisce la CETM nel suo rapporto finale, la valutazione della terza missione non può prescindere da analisi di tipo qualitativo e orientarsi sempre più in futuro verso gli studi di caso e le visite on-site. Sarà così possibile studiare le ricadute sociali della terza missione, l’impatto e i benefici effettivi per la società.
Biblioteche accademiche e terza missione: un rapporto in via di definizione
Attualmente non esiste in Italia un quadro di riferimento concettuale che aiuti a riflettere sul ruolo che le biblioteche accademiche possono svolgere nella terza missione.
Ciononostante, con grande entusiasmo, da qualche anno le biblioteche accademiche moltiplicano le attività, le iniziative e gli eventi di public engagement: organizzano mostre, esposizioni temporanee, presentazioni di libri, rivalutano e valorizzano le collezioni storiche, lavorano per sostenere i progetti di open science e di citizen science, partecipano a eventi culturali e di divulgazione scientifica.
La terza missione si declina diversamente in base alle collezioni e all’area di appartenenza di ciascuna biblioteca. Ad esempio, le biblioteche di area scientifica appaiono intrinsecamente legate al filone dell’open science, della citizen science e della divulgazione della conoscenza scientifica; quelle di area scienze umane e sociali hanno l’opportunità di valorizzare l’immenso patrimonio di volumi antichi e rari posseduti.
Inseguendo quest’ultima suggestione, anche grazie a una significativa crescente convergenza tra archivi, biblioteche e musei e a un’attività di patrimonializzazione del patrimonio antico intrapresa in anni recenti dalle università, i fondi storici e i fondi di autore conservati dalle biblioteche accademiche stanno conoscendo, negli ultimi anni, una nuova fase di tutela, cura e valorizzazione.
Quest’ultima vede un po’ ovunque il fiorire di mostre ed esposizioni rivolte al grande pubblico. La consulenza scientifica sui contenuti di tali mostre è sovente affidata ai docenti universitari, ma l’organizzazione e il percorso espositivo vengono curati dai bibliotecari. La collaborazione con gli archivisti e gli esperti museali che lavorano in ateneo diventa in questo caso fondamentale.
Manca, tuttavia, da più parti una piena consapevolezza del contributo che le biblioteche accademiche stanno portando alla terza missione. Mancano, sia a livello locale che sul piano nazionale, dati sulle attività che vengono svolte. L’Anvur ha deciso di non inserire le biblioteche (e gli archivi) tra gli indicatori di valutazione di terza missione in quanto in qualche modo già misurate in relazione alle attività di ricerca e di didattica. In realtà gli indicatori utilizzati dall’Anvur per la misurazione delle biblioteche sono pochi, non fanno riferimento alla terza missione, offrono un quadro parziale e, comunque, non in linea con la complessa realtà di una biblioteca accademica contemporanea.
A livello locale gli atenei non includono tra le attività della terza missione quelle realizzate dalle biblioteche. Tuttavia il fenomeno sta crescendo e sta spostando l’attenzione delle biblioteche accademiche dalla biblioteca digitale alle attività di tipo sociale. Cresce l’attenzione per gli spazi fisici, per le relazioni con il territorio, con le biblioteche pubbliche, gli archivi e i musei, con le associazioni culturali.
La terza missione offre anche l’opportunità di ripensare al ruolo della biblioteca accademica. Non è ancora chiaro al momento quale sia il rapporto di causa effetto tra terza missione e servizi rivolti al territorio. A oggi non possiamo che registrare una serie di iniziative di apertura e condivisione dei servizi delle biblioteche accademiche con il territorio: dallo sviluppo delle collezioni, all’information literacy, al servizio di reference digitale collaborativo, a quello di prestito interbibliotecario, alla formazione, ai tirocini di lavoro, ai cataloghi e alle piattaforme digitali condivise.
Si intravede così la nascita di un nuovo modello di biblioteca accademica sul quale occorrerà riflettere. Un modello meno unicamente ripiegato sulle esigenze delle comunità di ricerca, aperto ai nuovi pubblici e alla molteplicità degli stakeholder della biblioteca accademica.