N.2 2024 - C'è ancora bisogno di biblioteche?

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C’è ancora bisogno di biblioteche?

La Redazione

Abbiamo chiesto ad alcuni componenti del Comitato scientifico della rivista di provare a rispondere al quesito da cui prende spunto questo fascicolo e di dirci cosa vedono nel futuro delle biblioteche.

Come potete leggere dai loro interventi, non ne sono scaturite delle semplici risposte, ma riflessioni “plurali”, che pongono l’accento su aspetti diversi, approfondendo a volte elementi di scenario o soffermandosi su aspetti interni all’ambito bibliotecario. Gli esperti che abbiamo interpellato non guardano genericamente al futuro né azzardano fantasiosi pronostici, ma si interrogano sull’oggi e da lì prendono le mosse per esprimere la loro visione. Al centro restano i valori su cui la biblioteca si fonda, quei valori che Michael Gorman ha definito “valori durevoli”.

La Redazione

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ANNA BILOTTA - GIOVANNI DI DOMENICO

Università degli Studi di Salerno

Nello scorso mese di settembre, nonostante l’opposizione su diversi punti di una ventina di paesi membri (tra i quali la Russia), l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato un documento di portata storica (il Pact for the future, con due allegati: il Global digital compact e la Declaration on future generations), alla ricerca di risposte comuni all’intreccio perverso di fattori che minacciano le nostre sorti e quelle del pianeta: cambiamento climatico, guerre atroci, epidemie, tragedie del sottosviluppo, disuguaglianze crescenti, crisi delle democrazie liberali.

Il primo documento elenca 56 azioni da attuare in materia di: sviluppo sostenibile e relativo finanziamento; pace e sicurezza; scienza, innovazione tecnologica e cooperazione digitale; diritti e livelli di inclusione e partecipazione delle giovani e future generazioni; trasformazione della governance globale. Il Global digital compact indica cinque obiettivi: l’azzeramento di ogni forma di divario digitale; un’economia digitale inclusiva; uno spazio digitale che rispetti, protegga e promuova i diritti umani; approcci responsabili, equi e interoperabili alla governance dei dati; una governance internazionale dell’intelligenza artificiale vantaggiosa per l’umanità. L’altro allegato mette a fuoco principi-guida, impegni e azioni sia per la salvaguardia di bisogni e interessi dei giovani e delle generazioni che verranno, sia per la promozione della solidarietà intergenerazionale.

Sono evidenti e frequentemente richiamati gli elementi di continuità con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, a sostegno della quale il mondo delle biblioteche ha già mostrato grande sensibilità e spirito d’iniziativa. Benché in questi ultimi documenti delle Nazioni Unite esse non siano mai nominate, gli indirizzi delineati e i temi trattati ne interpellano le responsabilità, le funzioni e le competenze su vari fronti: tenuta sociale e culturale dei contesti di appartenenza (di comunità locale, di studio e ricerca, di conservazione del patrimonio storico e documentario); politiche inclusive, dispositivi e trasferimento di capacità per l’accesso alle risorse della conoscenza, per il loro uso consapevole e corretto e per la partecipazione dei cittadini alla vita civile e democratica; affidabilità e qualità etica dei dati nel web e nei sistemi di intelligenza artificiale. Si potrebbe continuare a lungo.

Il Patto per il futuro coinvolge dapprima i governi, ma poi le comunità, le istituzioni, i cittadini. E sono indispensabili anche le biblioteche: difficile immaginare, tra l’altro, che società più giuste e un mondo realmente sostenibile possano fare a meno del loro contributo su specifiche questioni (tutte evidenziate nei tre documenti) come, per esempio, coesione sociale e dialogo interculturale, protezione e costruzione della conoscenza locale, espansione della digital literacy, creazione di occasioni educative e formative per i giovani.

Soffermiamoci un attimo, però, sui recenti dati d’uso (fonte: Istat) riguardanti le biblioteche pubbliche, statali e private (con esclusione, quindi, delle biblioteche accademiche e scolastiche). Occorre ammettere che non sono confortanti. L’Istat ci dice che nel 2022 appena il 10,2% degli italiani di 3 anni e più si è recato almeno una volta in biblioteca, dato in significativo aumento rispetto al 7,4% del 2021, ma piuttosto distante dal 15,5% del 2019. Il dato 2022 sale al 13,5% se oltre agli ingressi fisici si prendono in considerazione anche gli accessi al sito web della biblioteca. I giovani si confermano gli utenti più assidui sia in presenza sia online (23,5% nella fascia di età 6-24 anni), ma è pur vero che sono tra coloro per i quali si registra il calo maggiore rispetto al periodo pre-pandemico (-13,5% dal 2019).

Non sono poche le realtà bibliotecarie italiane che esprimono capacità o potenzialità progettuali e di servizio, e tutte possono ancora ripartire dai giovani, ma necessitano di investimenti seri e di fiducia, oltre che di un miglior radicamento, per accreditarsi o rilegittimarsi come luoghi della conoscenza, delle opportunità, della consapevolezza dei propri diritti; luoghi vicini, sensibili, in ascolto di chi merita di costruirsi un futuro.

FABIO CUSIMANO

Veneranda Biblioteca Ambrosiana

Sovente le biblioteche vengono associate al ruolo di immutabili baluardi della cultura, ma di certo esse non sono delle entità passive che ‘osservano’ lo scorrere del tempo e la conseguente evoluzione della società senza parteciparvi; anzi, tutt’altro!

Al tempo del pervasivo sviluppo della dimensione digitale, ubiqua e multipiattaforma, siamo passati dalla ormai semplicistica dimensione dell’online a una più ramificata infosfera caratterizzata dall’approccio onlife. In un simile contesto le biblioteche e i libri si attestano quali testimoni di una mutazione già da tempo in atto: l’ibridazione delle risorse documentarie (digitali e analogiche), della fruizione dei contenuti e, ancor prima, delle modalità di ricerca, ormai fortemente orientate a un accesso privo di limitazioni spaziali e temporali. Tale è diventato, infatti, il nostro scenario d’azione consueto, sia come utenti che come addetti ai lavori: tutti noi siamo ormai abituati a reperire rapidamente ogni tipologia di servizio in forma digitale, portando istantaneamente ogni oggetto digitale nelle nostre mani, letteralmente, soprattutto in riferimento alla fruizione tramite dispositivi mobili con interfaccia touch; e questo modus operandi accomuna tanto le biblioteche quanto le altre istituzioni della memoria facenti parte della galassia MAB/GLAM, oltreché le università e altre tipologie di istituzioni culturali.

Le biblioteche – che da alcune migliaia di anni accompagnano la storia dell’umanità imponendosi quali punti di riferimento per l’evoluzione della civiltà e della cultura – hanno visto mutare la loro dimensione da quella di ‘piazze del sapere’ a quella di ‘piazze virtuali’, contribuendo a riconfigurare non solo l’esperienza quotidiana di tutti noi nella ricerca e nella fruizione dei contenuti e dei servizi digitali tra i più diversi, ma anche le strategie di comunicazione a livello istituzionale. La velocità della comunicazione ne risulta accelerata e permette di snellire la raccolta delle informazioni stesse e la loro analisi: le persone e le informazioni sono molto più interconnesse rispetto al passato, con forti influenze nel modo di lavorare, di vivere, di imparare. Talmente elevata è, infatti, la mole di contenuti informativi digitali presenti online, che le biblioteche e i bibliotecari assumono un ruolo fondamentale al fine di garantirne la qualità e l’affidabilità.

Così come già nei primi decenni del XVII secolo, agli albori della biblioteconomia come disciplina, Gabriel Naudé individuava nelle biblioteche e nei bibliotecari le sentinelle della verità, ancor più nel XXI secolo del digitale pervasivo, nell’era dell’iperconnessione, le biblioteche e i bibliotecari sono chiamati a perpetuare tale fondamentale compito.

LUCA FERRIERI

Presidente dell’associazione ‘La lettura nonostante’

La mia impressione è che l’indispensabilità delle biblioteche cresca parallelamente alla volontà di emarginarle, affamarle e ridurle al silenzio. Tuttavia essa è ancora largamente sotto la soglia necessaria, perché, fino ad oggi, le politiche di edulcorazione, divisione, suasione, hanno avuto la meglio. Per andare al di là del valore percepito (e declamato), per divenire bisogno reale, l’indispensabilità deve produrre ancora molta coscienza e presa di coscienza, tra bibliotecari, lettori, cittadini.

Aggiungo qualche ragguaglio. Nell’epoca della cosiddetta disintermediazione prevale l’allarme generico o l’indifferenza. Il grido ‘Le biblioteche scompariranno!’ o l’esortazione rassicurante ‘continuiamo il nostro lavoro’ sono atteggiamenti simmetrici. Quello che occorre è prendere posizione, squarciare il velo: la mediazione non è scomparsa, non è inutile, anzi è sempre più necessaria, necessaria come il pane, per capire, per imparare, per sapere. E non vogliamo al suo posto le brioches della risposta pronta, del prodotto confezionato e ammiccante. La disintermediazione è la mediazione di qualcun altro, che però si rende invisibile, per sfuggire al conflitto, per esercitare il controllo, per pilotare i cambiamenti. La disintermediazione, sempre voluta da qualcuno e subita da qualcun altro, è la mediazione occulta. La biblioteca è l’esatto opposto delle black box, algoritmiche o meno, che si stanno moltiplicando dappertutto: è la camera chiara, trasparente. Ma svolge questa funzione? E soprattutto: ne è cosciente?

La biblioteca è una delle poche agenzie educative, informative e culturali che per fortuna non godono di alcun monopolio, nemmeno su un segmento ristretto di pubblico, e che non possono vivere di rendita. Vivere di rendita è morire. Oggi urge la costruzione di una biblioteconomia dal basso, di un pensiero critico e diffuso, di una capacità di lettura e trasformazione dell’ambiente, delle relazioni, delle comunicazioni. La biblioteca c’è? Perché se non c’è o si nasconde non potrà lamentarsi se le persone non la ritengono (così) necessaria. Ma anche la generica presenza non è sufficiente. Esserci non basta, è decisivo il come. Moltiplicare i sostegni, arrancare da uno SPID a una ‘googlata’, senza un orizzonte o un progetto, non fa che spianare la strada alle politiche distrattive e distruttive. Il mondo a portata di clic è stato apparecchiato per essere lì quando tu clicchi; i sei gradi di separazione sono un’autostrada senza uscite intermedie. Ovunque il pensiero antibibliotecario punta sul riduzionismo, sulla semplificazione, sulla diversione, sulla negazione della complessità. Essere e fare biblioteca oggi vuol dire prima di tutto abitare la complessità.

Prendiamo la lettura, ad esempio. La promozione ha vinto, si dice. In effetti è diventata un abito ormai consueto delle biblioteche, sono sempre meno i bibliotecari che allargano le braccia di fronte ai bisogni di lettura, di literacy, di informazione, di navigazione. Ma perché i servizi non crescono, non si diversificano? Possiamo dare a tutti lo stesso abbecedario digitalmente aggiornato? Perché non vogliamo ammettere che oggi il reference se non è anche readers’ advisory service non ha più senso? La componente REF è già sotto l’assalto della disintermediazione, la componente RAS si nutre di mediazione. La biblioteca che legge e (si) fa leggere non è la stessa cosa della biblioteca che promuove la lettura, è un passo avanti e uno laterale, è la mossa del cavallo. Siamo pronti?

ANNA GALLUZZI

Biblioteca del Senato della Repubblica “Giovanni Spadolini”

Nel mio percorso di ricerca il tema del futuro delle biblioteche è stato centrale per diversi anni e ho provato a indagarlo da molteplici punti di vista (storico, sociale, tecnologico) per comprenderne le numerose sfaccettature e implicazioni.

Fino a un certo punto ho pensato che parlando di biblioteche specialistiche, di conservazione e di ricerca non ci fosse tanto da interrogarsi e/o preoccuparsi. Lì dove una biblioteca ha una funzione specifica, gestisce contenuti particolari (analogici e digitali), garantisce la conservazione e la storicizzazione dei contenuti (cosa che nessun altro attore della filiera sembra avere particolarmente a cuore), avrà sempre una platea più o meno ampia di studiosi e/o portatori di interesse che prima o poi incroceranno la sua offerta sulla loro strada.

Ed è per questo che per tanti anni mi sono soprattutto interrogata sul futuro delle biblioteche pubbliche le quali, nella ampiezza della loro offerta e delle loro finalità - che inevitabilmente possono sfociare in genericità -, mi sono sempre sembrate potenzialmente più a rischio.

Oggi entrambe queste interpretazioni mostrano di non essere pienamente rispondenti alla realtà, sia perché l'evoluzione dei contesti è condizionata da eventi imprevedibili e dal fatto che gli attori adeguano le loro scelte al modo in cui i contesti cambiano, sia perché l’accelerazione dei cambiamenti rende gli sviluppi sempre meno lineari.

Per quanto riguarda le biblioteche specialistiche, di conservazione e di ricerca, man mano che scompare una generazione che era stata educata a condurre la propria attività di ricerca attraverso il reperimento delle fonti e il confronto tra di esse, e segue una generazione che è cresciuta nel mito della facilità e della rapidità dell'accesso ai contenuti, anche queste biblioteche tendono a svuotarsi o comunque a veder ridimensionato il loro uso qualificato. Anche quando gli utilizzatori si rivolgono a risorse digitali messe a disposizione dalle biblioteche stesse - perché da loro acquisite, raccolte o realizzate - pochi di essi si rendono conto del ruolo che biblioteche e bibliotecari hanno giocato, e ancora meno se ne rendono conto le amministrazioni dalle quali dipendono.

Se si guarda alle biblioteche pubbliche, è indubbio che - tanto più dopo l’esperienza pandemica - il loro valore come spazi di relazione e socialità abbia trovato nuova forza e linfa, così come non è difficile osservare che, sul piano dei contenuti e delle funzioni, l’attenzione si sia spostata sempre di più dalla ‘semplice’ lettura alla creazione e condivisione di contenuti, non solo e non necessariamente testuali, creando le condizioni per catturare nuovi pubblici. Nell’intensificarsi di tale processo, si assiste sempre di più alla realizzazione in giro per il mondo di strutture polifunzionali che spesso, però, non portano più il nome di ‘biblioteca’ oppure, anche se lo conservano, non vengono più identificate con quel concetto né da chi le progetta né da chi le frequenta. Che dal punto di vista dei bibliotecari queste siano comunque biblioteche a tutti gli effetti non è certo indicativo del sentire comune.

Tutto questo per dire che la speculazione teorica sul futuro delle biblioteche, dal punto di vista di chi vive le biblioteche dall’interno e ne conosce il funzionamento e le potenzialità, rischia di essere sempre più un’attività fine a sé stessa, in un affollarsi di previsioni e opinioni che, smentite dai fatti, vengono semplicemente sostituite con nuove previsioni.

Lavorare per presidiare le funzioni delle biblioteche che riteniamo ancora necessarie e insostituibili e per rendere le stesse un posto ancora desiderabile per le persone di oggi e per quelle che verranno è, dal mio punto di vista, l’unica cosa che i bibliotecari devono continuare a fare, lasciando ‘ai posteri l'ardua sentenza’ sul se e il come della loro sopravvivenza futura.

FEDERICO MESCHINI

Università degli Studi della Tuscia

C’è ancora bisogno di biblioteche? La risposta, affatto banale nella sua ovvietà, non può essere altro che sì. Decisamente meno ovvio, e proprio il punto che ci porta al cuore della questione, è rispondere alla domanda successiva, ossia come le biblioteche possano dare il maggior contributo possibile nell’attuale assetto socioculturale e, auspicabilmente, in quelli a venire. A prima vista può essere lecito mettere in relazione la necessità della domanda iniziale con una, perlomeno apparente, minore centralità del libro rispetto alle pratiche di comunicazione attualmente dilaganti nell’infosfera. Va ricordato però come la biblioteca non sia nata con il libro, sebbene il combinato disposto tra le caratteristiche e le funzionalità di quest’ultimo, segnatamente nella sua declinazione tipografica, e le finalità della prima, abbia dato vita a una comunione tale da fare sembrare questa combinazione pressoché perfetta e perciò definitiva. La storia delle biblioteche va però vista come una continua successione di cambiamenti, in cui i fattori principali sono le forme documentarie da un lato e gli scenari socioculturali dall’altro, in un evidente rapporto di relazione non lineare. Alla biblioteca spetta perciò un ruolo di mediazione in questo sistema complesso, di cui al tempo stesso fa parte, influenzando e venendone influenzata. Questa può essere una spiegazione all’affermazione per cui il suo bisogno non esiste in natura. Da ciò si può derivare come corollario che la biblioteca è ‘contro natura’, ossia in qualche modo deve equilibrare le tendenze naturali, entropiche se vogliamo, di un particolare panorama informativo, in relazione alle forme e agli scenari di cui sopra.

In situazioni di scarsità e difficoltà di accesso all’informazione, la sua funzione principale sarà perciò facilitare l’accesso: da qui consegue come l’accumulo di oggetti informativi porti alla necessità di un’organizzazione interna insieme a delle pratiche di mediazione. Le caratteristiche dello scenario attuale vanno, perlomeno a un livello apparente, nella direzione opposta. L’immersione continua nell’infosfera ha numerose criticità, più o meno evidenti, e sono queste le tendenze naturali che nella biblioteca, e non solo, vanno comprese e controbilanciate. La prima, e più ovvia, è la sovrabbondanza informativa, che pone la necessità di un continuo approccio basato sulla selezione ragionata. Successivamente abbiamo l’immediatezza nell’accesso, il più delle volte su base algoritmica. Quello che ci viene proposto è sì ciò che vogliamo, ma di cui non abbiamo necessariamente bisogno; oltretutto servirebbe una visione il più possibile sistemica e non granulare, derivabile dalle modalità organizzative di cui sopra. Una possibile soluzione a queste criticità è dare maggiore rilevanza al processo rispetto al prodotto, far prevalere nei metodi e nelle pratiche della biblioteca il come e non il cosa, le domande e non le risposte, dare maggiore spazio alle diverse possibilità e non concentrarsi esclusivamente sulla soluzione. La biblioteca dovrebbe diventare uno spazio in cui acquisire una maggiore consapevolezza del contesto, riappropriarsi di una visione d’insieme e contrastare la sempre maggiore frenesia nell’impiego del tempo, così da privilegiare i pensieri lenti, riflessivi e strutturati, rispetto a quelli veloci.

ROSSANA MORRIELLO

Università degli Studi di Firenze

La biblioteca è spesso definita un’istituzione democratica ma ci si dimentica che questa è una conquista, per nulla scontata. Donne, bambini, neri sono stati esclusi dall’accesso alle sale di lettura e ai servizi della biblioteca. Se pensiamo all’Italia, la biblioteca diventa accessibile a tutti solo a partire dalla seconda metà del XX secolo, mentre prima era rivolta principalmente agli eruditi, a coloro che la usavano per motivi di studio. I tentativi precedenti di creare una biblioteca per tutti, con la biblioteca popolare, sono falliti. Le ragioni sono tante e non è l’obiettivo di questo breve scritto approfondirle. Nello stesso arco di tempo, nelle nostre società i temi fondanti della democrazia sono divenuti centrali, se non nei fatti perlomeno nel dibattito pubblico e nelle rivendicazioni, anche grazie alle sollecitazioni delle organizzazioni sovranazionali come la Comunità Europea, l’ONU, l’Unesco: inclusione, giustizia sociale, parità di genere, accesso libero all’informazione, non lasciare nessuno indietro. L’Agenda 2030 dell’ONU li sintetizza e si affianca a numerose altre linee guida, studi, raccomandazioni. Le biblioteche sono strumenti di democrazia e di democratizzazione straordinari, dove questi principi si possono realizzare concretamente.

Le biblioteche possono contribuire a invertire la rotta rispetto al declino della lettura di cui ci parlano i dati, in Italia come in altre nazioni. La promozione della lettura deve cominciare con i bambini e i ragazzi, in modo da formare lettori forti fin dall’infanzia, costruendo collezioni più rappresentative e stimolanti per i giovani lettori. L’inclusione sociale vede le biblioteche in primo piano, in quanto istituzioni alle quali rivolgersi per apprendere i diritti culturali. In genere, le persone con bassa alfabetizzazione, di qualsiasi nazionalità, non hanno consapevolezza dei propri diritti culturali. Si è cominciato a parlare di biblioteconomia sociale, biblioteconomia critica, decolonizzazione proprio perché tali questioni sono diventate cruciali. Si parla di bibliodiversità che non significa solo offrire collezioni in lingue e culture diverse ma anche restituire dignità a generi letterari e formati documentari tralasciati in passato (fumetti, giochi, generi considerati ‘minori’), proprio perché, in particolare nelle biblioteche italiane, l’utente di riferimento era lo studioso. Bibliodiversità significa offrire collezioni rappresentative dei diversi media e relativa alfabetizzazione.

Il mezzo digitale, che inizialmente appariva democratico e libero, si è rivelato al contrario elitario e colonizzato. I movimenti open access, open data, open education sono nati in risposta a tale condizione. Rispetto all’ecosistema digitale le biblioteche sono un mezzo per colmare le diseguaglianze, che aumenteranno con le tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale.

La biblioteca può essere davvero democratica, accogliente e sicura, non solo come spazio fisico ma come spazio mentale in cui rifugiarsi. Molte biblioteche lo sono già, ma nessuna caratteristica deve essere considerata intrinseca al concetto di biblioteca pubblica e dunque scontata. La biblioteca deve essere votata all’azione, e non all’inerzia, per riuscire a diventare realmente un luogo democratico e democratizzante, aperto e inclusivo. Se questa sarà la strada, il valore aggiunto diverrà chiaramente percepibile perché in ciò risiede l’unicità della biblioteca, e non vi sono altre istituzioni con un simile potenziale.

RICCARDO RIDI

Università Ca’ Foscari Venezia

Avevo già risposto a una domanda molto simile a questa (“perché le biblioteche servono ancora, nonostante internet?”) negli atti del 59° Congresso nazionale dell’AIB, svoltosi a fine novembre 2016 e pubblicati digitalmente e gratuitamente nel 2018. Quel testo è oggi disponibile online anche autonomamente e sotto forma di schema didattico che utilizzo tutti gli anni, da allora, per iniziare il mio corso di introduzione alla ricerca bibliografica, all’Università Ca’ Foscari.

Rileggendo la mia relazione di ormai otto anni fa (alla quale rinvio anche per qualche riferimento bibliografico sul tema) direi che mi sembrano ancora attuali tutti gli argomenti a favore dell’esistenza delle biblioteche lì articolati più ampiamente di quanto sia qui possibile: 1) non tutti i documenti bibliografici sono stati (né verranno) digitalizzati; 2) moltissimi documenti importanti, o comunque utili, continuano ad essere pubblicati solo su carta; 3) non sempre la versione digitale di un documento rende completamente inutile l’accesso alla sua versione tradizionale; 4) solo istituzioni pubbliche come biblioteche e archivi possono garantire la conservazione sul lungo periodo dei documenti, sia tradizionali che digitali; 5) molti dei documenti bibliografici disponibili (gratuitamente o meno) online lo sono grazie alla collaborazione delle biblioteche; 6) biblioteche e archivi digitali dovrebbero essere canali privilegiati, da parte degli enti pubblici, per rendere disponibili a chiunque i propri documenti di utilità sociale; 7) i bibliotecari aiutano i propri utenti a difendersi dal sovraccarico informativo, grazie alla selezione e organizzazione delle collezioni e al servizio di reference; 8) il sovraccarico informativo e la difficoltà nel valutare la qualità delle fonti informative si combattono anche con la information literacy, di cui i bibliotecari sono fra i principali dispensatori; 9) le aziende che mettono a disposizione (gratuitamente o a pagamento) servizi informativi di qualsiasi tipo potrebbero in ogni momento sospenderli, ridurli o modificarne i prezzi; 10) le biblioteche offrono invece i propri servizi con maggiore affidabilità e quasi sempre gratuitamente; 11) i bibliotecari sono professionisti specializzati nella selezione, organizzazione, conservazione e fruizione dei documenti, con una notevole competenza tecnica; 12) i bibliotecari hanno anche una deontologia professionale che garantisce ai propri utenti il rispetto dei loro diritti informazionali, a cominciare dalla privacy e dall’assenza di discriminazioni e censure; 13) molte biblioteche stanno anche ampliando i propri servizi, aggiungendo a quelli tradizionalmente rivolti alla fruizione dei documenti anche altri mirati alla loro produzione e diffusione.

Erano (e sono) molti argomenti diversi, tutti centrati sui servizi informativi e documentari (sia tradizionali che digitali) delle biblioteche, anche senza bisogno di aggiungerne di ulteriori, eterogenei e talvolta persino bizzarri. Ciascun bibliotecario, amministratore o utente, potrà sceglierne alcuni (o aggiungerne altri) che ritiene prioritari, anche in base ai propri interessi ed esperienze. A me, personalmente, è sempre stato molto a cuore il quarto (la conservazione a lungo termine, anche del digitale), ma capisco che, dal punto di vista sociale, sia probabilmente molto più sentito il decimo (l’accesso gratuito ai documenti: dai romanzi prestati nelle biblioteche pubbliche ai periodici elettronici resi disponibili dalle biblioteche universitarie). Forse però nessuno di essi è abbastanza convincente, perché può anche darsi che venga costruita qualche nuova biblioteca, ma sicuramente quelle già esistenti non sono finanziate a sufficienza, probabilmente perché la loro funzione viene sempre meno apprezzata dalla società contemporanea, che non si rende conto di come motori di ricerca, social media e piattaforme di intrattenimento non siano strumenti di disintermediazione, ma ‘intermediari aziendali’, guidati da finalità commerciali.

Ecco perché già otto anni fa avevo aggiunto un quattordicesimo compito delle biblioteche, che oggi mi appare non più accessorio, ma urgentemente preliminare rispetto agli altri: la cosiddetta advocacy, ovvero la valorizzazione e giustificazione delle biblioteche stesse nei confronti dell’opinione pubblica e dei decisori politici.

LUCIA SARDO

Alma Mater Studiorum Università di Bologna

Penso sia necessario innanzitutto delimitare l’ambito al quale si fa riferimento, e nello specifico vorrei soffermarmi sulle biblioteche ‘fisiche’ (non in contrapposizione rispetto alle biblioteche digitali, ovviamente). Almeno due aspetti, a mio avviso, le renderanno necessarie, ma la loro effettiva utilità dipenderà dalla presenza di professionisti in grado di renderle una istituzione efficace ed efficiente nello svolgimento delle proprie finalità. Inoltre è doveroso ricordare che dovendo essere sintetici, una certa generalizzazione è necessaria.

Gli aspetti che vorrei sottolineare sono:

  • L’organizzazione della conoscenza, ovvero la capacità di organizzare ciò che si è selezionato.
  • La mediazione informativa, ovvero la curatela, la capacità di individuare le risorse adatte a rispondere ai bisogni informativi.

A questi due aspetti possiamo aggiungere quello della conservazione di quanto è stato selezionato e organizzato, dato che demandare ad altri soggetti questa attività penso sia problematico se non rischioso.

Ciò che dovrebbe caratterizzare e quindi rendere necessaria la presenza di biblioteche è appunto il loro ruolo, condiviso con le altre istituzioni che si occupano di patrimonio culturale, di entità che organizzano la conoscenza e la rendono disponibile.

L’aumento vertiginoso delle risorse disponibili, le difficoltà sempre crescenti da parte delle persone di individuare le fonti migliori per risolvere i propri bisogni informativi, nonché la proliferazione di media e dispositivi per accedere alle risorse informative, rendono sempre più necessaria l’organizzazione delle risorse stesse e la curatela di dati e raccolte, al fine di consentire un accesso efficace e ‘poco rumoroso’ a ciò che potrebbe soddisfare le esigenze degli utenti.

Storicamente le biblioteche hanno utilizzato i cataloghi, sia nominali che semantici, per raggiungere questo scopo. Penso che sia opportuna quindi una riflessione sugli strumenti di mediazione messi a disposizione degli utenti, per fare in modo che ci sia una effettiva comunicazione e che la lingua parlata dagli utenti e quella parlata dai cataloghi e dai bibliotecari sia tale da favorire e non dissuadere dall’uso di questi strumenti. Questo presuppone non solo una opportuna normativa che consenta di avere cataloghi omogenei e ben strutturati, ma anche un’analisi delle esigenze della contemporaneità e un conseguente adattamento degli strumenti utilizzati, poiché è noto che qualsiasi struttura catalografica e qualsiasi forma di organizzazione della conoscenza sono storicamente e culturalmente fondate.

Il secondo aspetto, ovvero quello della mediazione informativa, è strettamente connesso al primo, ma comporta anche uno sforzo formativo sia da parte delle istituzioni preposte alla formazione sia da parte del personale in servizio presso le biblioteche perché, come affermato da molti studiosi, la differenza viene fatta dalle persone, quindi dai bibliotecari. L’importanza della figura professionale del bibliotecario non può essere messa in discussione e la capacità di mediare dovrebbe essere fra le competenze fondamentali.

Infine, vorrei rilevare la necessità di superare un paio di ‘problemi’ che affliggono loro malgrado le biblioteche. Un problema di immaginario: se nell’immaginario collettivo la biblioteca è una biblioteca di stampo ottocentesco, forse qualsiasi discorso sulle biblioteche e sul loro impatto sulla società deve essere ripensato in un’ottica di comunicazione verso la società e non di riflessione autoreferenziale. Un problema di retorica (la biblioteca nella cabina del telefono dismessa, la biblioteca sull’albero, la biblioteca nel treno ecc.): la retorica che infesta una parte considerevole della narrazione sulle biblioteche non fa altro che alimentare un immaginario distorto, impedisce il corretto posizionamento delle biblioteche rispetto alla società e rende difficile la comprensione delle loro funzioni e della loro importanza nella realizzazione di una collettività informata.

ANNA MARIA TAMMARO

Università degli Studi di Parma

La domanda se avremo ancora bisogno di biblioteche, in un'era sempre più digitale e dominata da rapidi cambiamenti economici, politici e sociali, apre a diverse prospettive e risposte, che variano in base alla visione che si attribuisce alle biblioteche stesse. IFLA propone una trasformazione delle biblioteche che va oltre la tradizionale concezione di spazio per i libri, ma le indica come agenti (motori) di trasformazione sociale che favoriscono la coesione, l’inclusione e il benessere delle comunità. Questa visione si trova documentata nella Global vision 2017, nei rapporti annuali Library trends (qui l’ultimo pubblicato), più recentemente nello Statement per l’intelligenza artificiale di IFLA FAIFE, nelle strategie e nel lavoro dei vari Comitati permanenti di Sezioni e Gruppi speciali. IFLA ha anche organizzato Information Futures Summit (30 settembre - 3 ottobre 2024). Enfatizzare questo ruolo più ampio delle biblioteche può aiutare a cambiare la percezione tradizionale, sottolineando la necessità di un approccio centrato sulle comunità.

Di seguito sono descritti alcuni dei cambiamenti chiave proposti da IFLA.

  • ‘Biblioteche più inclusive e accessibili’. Un principio fondamentale della Global Vision (2017) è l'inclusività. Le biblioteche devono continuare a essere luoghi dove si può accedere liberamente all'informazione, con particolare attenzione a coloro che sono socialmente svantaggiati o marginalizzati. In un mondo in cui le persone sono sommerse da informazioni spesso non verificate o inaccurate, le biblioteche offrono risorse affidabili e supportano gli utenti a navigare in modo critico nel mare di contenuti disponibili.
  • ‘Biblioteche come centri di apprendimento’. IFLA sottolinea l’importanza delle biblioteche come luoghi di apprendimento lungo tutta la vita. Le biblioteche diventano spazi per l'acquisizione di competenze, incluse le competenze digitali, la formazione professionale e lo sviluppo continuo individuale. In questo senso, le biblioteche devono diventare luoghi ibridi (fisici e virtuali) dove gli individui possano migliorare le proprie conoscenze e capacità.
  • ‘Biblioteche come promotrici del dialogo e della partecipazione’. Le biblioteche non sono più solo contenitori di conoscenza, ma sono anche spazi che promuovono il dialogo interculturale, la coesione sociale e la partecipazione attiva delle comunità. Un passo fondamentale per rafforzare il bisogno di un cambio di approccio è quello di includere attivamente le comunità nel processo decisionale. Le istituzioni culturali possono organizzare momenti di partecipazione che aiutano a costruire un consenso attorno a problematiche locali con un approccio partecipativo.
  • ‘Partnership e creazione di reti globali’. IFLA incoraggia una maggiore collaborazione tra biblioteche, archivi e musei a livello globale che superi i confini geografici. Con le istituzioni e organizzazioni locali si auspica un'azione comune, facendo delle biblioteche un punto di connessione tra comunità diverse. Le reti di biblioteche e istituzioni possono condividere risorse, idee e progetti per affrontare sfide comuni, come l'accesso all’informazione in contesti difficili o la promozione dell’alfabetizzazione.
  • ‘Supporto alla creazione di conoscenza e alla cura dei dati’. Le biblioteche e i bibliotecari svolgono un ruolo fondamentale nella cura dei dati e dell’informazione e nella loro organizzazione verso la trasformazione digitale, con lo sviluppo di servizi che facilitano la creazione di nuove conoscenze e la collaborazione interdisciplinare.Le biblioteche stanno aumentando l’offerta di servizi che riducono il divario digitale, offrendo accesso gratuito a internet, computer e dispositivi mobili a persone che non possono permetterseli.
  • ‘Sviluppo delle competenze dei bibliotecari’. Per affrontare queste nuove sfide, IFLA sottolinea l’importanza della formazione continua dei bibliotecari. Le competenze tradizionali devono essere integrate con nuove capacità, tra cui la gestione dei dati, l’alfabetizzazione digitale, la cura di collezioni digitali, e l’uso di tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale. I bibliotecari devono essere pronti a crescere professionalmente per guidare la trasformazione digitale.

Questi cambiamenti illustrano come le biblioteche possono adattare i loro servizi per promuovere l’inclusione, l’equità e la giustizia sociale, diventando così centri dinamici e rilevanti per le comunità del futuro. La promozione di questa trasformazione è non solo operativa, ma anche culturale e sociale, puntando a un ruolo attivo nel miglioramento delle condizioni sociali e nell’empowerment delle comunità.

In sintesi, la risposta se abbiamo bisogno di biblioteche può essere affermativa, ma il futuro delle biblioteche dipenderà da come riusciranno a migliorare la vita delle comunità.

MAURIZIO VIVARELLI

Università degli Studi di Torino

Proverò a rispondere alla domanda da uno specifico punto di vista, centrato sul profilo di alcuni progetti di biblioteche pubbliche contemporanee, la cui identità, ora solo prefigurata, può indicare la natura della risposta. Per questo motivo non verranno richiamate le funzioni tradizionali, pur molto importanti, delle diverse tipologie istituzionali di biblioteche nel loro insieme (conservazione, metadatazione, accesso, information literacy ecc.), e si farà invece riferimento ad alcuni degli elementi di cambiamento nel modello della biblioteca pubblica, variamente elaborati e interpretati nei tre grandi progetti in corso in Italia: la Biblioteca Centrale di Torino, la BEIC (Biblioteca Europea di Informazione e Cultura) di Milano, il ridisegno di identità e servizi del sistema delle biblioteche di Roma, con l’attivazione di Nuovi Poli Civici Culturali e di Innovazione.

I progetti localizzati in Italia, e quelli realizzati negli ultimi anni a livello internazionale – da Seattle a Oodi a Barcellona – e le molte indagini, quantitative e qualitative, sulla percezione e uso delle biblioteche da parte dei loro pubblici mostrano una grande evidenza: l’affiorare nelle aspettative delle persone di bisogni e istanze nuove, non riconducibili esclusivamente alla tipologia bibliografica e organizzativa della reference library, fondata sulla centralità delle risorse bibliografiche e sulla loro organizzazione, trattamento e gestione. I modelli sottesi ai progetti mostrano invece il consolidarsi di nuovi e diversi obiettivi, che hanno a che fare direttamente con la qualità della vita, nelle sue moltissime implicazioni.

I modelli e i progetti delle biblioteche pubbliche contemporanee, nelle loro rilevanti varianti, contengono molti più elementi di quelli ordinabili dal nomos classico della disciplina che in questa attività, appunto di ‘ordinamento’, ha individuato per molto tempo la sua pietra angolare. In questi inediti spazi bibliografici, antropologici e comunicativi non viene dispiegato solo un modello pragmatico di organizzazione della conoscenza, finalizzato a garantire l’accesso e l’uso dei contenuti che lo compongono. Questo ‘di più’, oltre i confini della razionalità positivistica, segna uno scarto tra ‘ordinamento’ delle risorse bibliografiche e ‘rappresentazione’ della complessità delle aspirazioni e dei desideri delle persone nella loro esperienza di vita.

I nuovi progetti includono al proprio interno un ‘utente ideale’ sfaccettato e poliedrico, che usa strumenti di mediazione eterogenei, che cerca informazioni ed emozioni, che basa le sue scelte su ragione e sentimento. Se vogliamo rispondere ‘sì’ alla domanda posta, allora è indispensabile aggiungere alle funzioni tradizionali ulteriori elementi, incerti e indeterminati come i desideri da cui traggono origine. Questo approccio può avere implicazioni rilevanti, teoriche e pratiche. Sul piano teorico significa superare la monodimensionalità del nomos classico della mediazione documentaria per approdare alla pluridimensionalità di sistemi di comunicazione multipli, inclusivi e partecipativi, serendipici e creativi. Accettare pienamente la complessità indeterminata della realtà, come scrive da molti anni Edgar Morin, attiva la necessità di immaginare biblioteche fatte della stessa sostanza, dinamica, relazionale e interattiva, di questa complessità. C’è e ci sarà bisogno di biblioteche, e questo bisogno verrà percepito ed elaborato socialmente, politicamente e istituzionalmente, se i campi disciplinari e professionali che di esse si occupano, adeguatamente innovati e ibridati, sapranno definire e raccontare un modello solido, concreto, sostenibile, e nello stesso tempo pluridimensionale, generativo e creativo, in grado di legittimare, e, alla lettera, ‘dare spazio’, a visioni, esigenze, istanze che le persone avvertano come parte rilevante e integrante della propria esistenza.

Oltre le finalità bibliografiche, insomma, le ragioni delle biblioteche pubbliche si fondano sulla capacità di lasciare intuire possibilità incessanti di crescita personale e di comprensione della realtà, sviluppate attraverso l’esperienza della lettura, e dunque affondano le proprie radici, ancora una volta, sul sogno antico di ‘utopia’.

PAUL GABRIELE WESTON

Università di Pavia

Un album musicale meraviglioso, nato dalla collaborazione tra Vinícius de Moraes, Giuseppe Ungaretti e Sergio Endrigo, si intitola La vita, amico, è l’arte dell’incontro. Ecco, quando penso alla biblioteca mi viene spontaneo pensare che sia proprio ‘l’incontro’ la funzione della biblioteca: incontro con la storia e le storie, incontro con la bellezza dei versi e delle narrazioni, incontro con la saggezza di coloro che ci hanno preceduto, incontro con la conoscenza e l’esplorazione di ciò che ancora non si conosce pienamente. Potrei aggiungere anche l’incontro con quei dubbi, quelle ipotesi insoddisfacenti, quelle ‘imperfezioni’, per citare Rita Levi-Montalcini, che spingono il ricercatore, ma potrei anche dire l’umanità, ad andare oltre.

D’altronde, che la biblioteca sia anche una fondamentale occasione di incontro, oltre che con i libri, anche tra le persone, lo dimostra la quotidiana presenza nel cortile della Biblioteca Vaticana di ricercatori provenienti dalle diverse regioni del mondo in conversazione con altri colleghi.

Gli incontri sui quali intendo qui di seguito soffermarmi hanno per protagonisti i più piccoli e gli anziani, nei confronti dei quali l’attenzione da parte del Gruppo di studio sull’inclusione dell’AIB è massima. Per quanto riguarda i primi, numerose sono le azioni messe in campo dalle biblioteche pubbliche su iniziativa dell’AIB e la più nota è senz’altro Nati per Leggere, un programma nazionale promosso fin dal 1999 dall’Associazione Culturale Pediatri, dall’AIB e dal CSB (Centro per la Salute del Bambino Onlus). Ne fanno parte circa 800 progetti locali in più di duemila comuni italiani, che vedono il coinvolgimento di bibliotecari, pediatri, educatori, enti pubblici e associazioni, oltre alle famiglie. Che leggere con una certa continuità ai bambini fin dalla più tenera età abbia una positiva influenza sul loro sviluppo intellettivo, linguistico, emotivo e relazionale, con effetti significativi per tutta la vita adulta, è ormai accertato. Negli spazi che la biblioteca dedica all’infanzia i bambini più piccoli possono gattonare e fare le loro prime esplorazioni del mondo circostante, e quelli appena più grandi possono iniziare a socializzare con i loro compagnucci di gioco, socializzazione che si estende solitamente anche a coloro – genitori e nonni – che ne hanno la cura. Queste fasi di gioco, ascolto e socializzazione possono essere determinanti per individuare, attraverso l’osservazione del comportamento e delle posture del piccolo, i sintomi dell’autismo e consentire, nel più breve tempo possibile, la messa in atto di terapie volte a minimizzarne le conseguenze.

Dell’incontro attraverso varie forme di lettura dai libri in simboli ai silent books - quelli che parlano tutte le lingue del mondo, stimolano la fantasia creativa e, grazie al potere interpretativo delle immagini, offrono la possibilità a chi li legge di essere coinvolti e connessi emotivamente - si avvalgono i bambini più grandi e sono funzionali, quindi, non soltanto ad agevolare l’accessibilità dei contenuti, ma anche per contribuire a diffondere la cultura dell’inclusione.

E poi ci sono gli anziani. Il quadro che emerge dalle previsioni 2023 dell'Istat sul futuro demografico del Paese ci restituisce un’Italia meno affollata, più vecchia e più solitaria. Pur in presenza di elementi di incertezza, questa tendenza appare probabilmente incontrovertibile, anche perché interessa nel breve e medio termine tutti i paesi occidentali, nei quali nel corso del presente decennio si dispiegherà l’invecchiamento dei baby boomers. In questo consesso l’Italia è uno dei Paesi in cui il fenomeno dell’invecchiamento demografico è più pronunciato visto che, a livello globale, essa è superata unicamente dal Giappone. Questo trend è, sostanzialmente, la risultante di due cause: l’aumento della longevità e il parallelo declino della natalità.

L’aumento della popolazione anziana pone nuove sfide in ogni settore della società per questioni di tipo sociale, economico, tecnologico, legale ed etico, derivanti dai diversi livelli di istruzione e di reddito, dal maggior rischio di solitudine, dal peggioramento delle condizioni di salute e di autonomia. A fronte di queste due ultime problematiche si assiste a un notevole aggravio dell’impegno per l’assistenza che ricade sui familiari (non di rado coetanei o quasi del congiunto), ma anche su quelle persone che, nelle case o nelle strutture di accoglienza, si occupano dell’anziano. Sono tutti questi i cosiddetti caregivers.

Intendendo la biblioteca come il luogo dell’incontro appare chiaro che i servizi che le biblioteche possono attivare comprendono l’organizzazione di momenti di lettura a voce alta condivisa o anche semplicemente di conversazione tra anziani. È accertato che le persone anziane possono trarre grande beneficio dalla lettura, in quanto, durante l’ascolto, diverse aree del cervello si attivano comportando benefici quali la stimolazione della concentrazione, dell’empatia e dell’intelligenza emotiva, unitamente a memoria e attenzione. Si tratta di fattori importanti per la persona anziana, poiché costituiscono un ottimo alleato nella lotta alle malattie degenerative, quali alcune forme di demenza. In particolare, la lettura a voce alta è necessaria nel caso di anziani non più in grado di leggere autonomamente, per problemi di vista, di motricità (alcuni tremori rendono difficile tenere il libro, seguire le righe, girare le pagine ecc.) e di concentrazione. Vi è poi la componente affettiva: anche quando l’anziano non riesce a seguire ogni dettaglio della storia che sta ascoltando, il tono della voce, il trasporto del lettore è in grado di trasmettere emozioni, di far affiorare ricordi e permette di partecipare comunque. Per favorire questo tipo di coinvolgimento cominciano a essere pubblicati libri con specifiche caratteristiche. Quanto alla condivisione della lettura, essa ha una valenza sociale, in quanto consente di discutere insieme, di commentare, di ricordare; facilita la condivisione di opinioni, vissuti, esperienze; crea gruppi, legami, vicinanze.

Quando l’anziano è relegato nella propria abitazione, l’incontro con il libro e con il mondo esterno comporta la mediazione di un volontario o dell’operatore di un’associazione assistenziale, che si rechi al suo domicilio. Se le biblioteche, in accordo con le scuole, decidessero di affidare questo servizio a giovani studentesse e studenti, il beneficio potrebbe ricadere su entrambi: l’anziano e il giovane. Per diverse ragioni la figura dei nonni è sempre meno presente nell’orizzonte degli adolescenti, che vengono così a essere privati della storia, delle tradizioni, dell’esperienza, della figura stessa dell’anziano. A ben vedere, questo passaggio di testimone intergenerazionale favorisce, sul piano umano, quell’incontro che i libri svolgono sul versante della conoscenza.