Perché al Sud si legge poco? Il percorso di una libraia in prima linea
Abstract
Il contributo presenta l’esperienza della libreria Controvento di Telese Terme, in provincia di Benevento. Cosa significa dare vita a una libreria in un piccolo paese del Sud Italia? Quali sfide e opportunità può incontrare?
English abstract
This paper presents the experience of the Controvento bookshop, located a Telese Terme, in the province of Benevento. What does it mean to set up a bookshop in a small town in Southern Italy? What challenges and opportunities can it encounter?
Al Sud si legge meno perché non ci sono i libri. Non è una questione di lettori, è una questione di materia prima e di opportunità. Il numero di librerie, festival, occasioni di incontro tra lettori e libri è nettamente inferiore rispetto ad altri territori. Il numero di biblioteche di pubblica lettura e scolastiche con personale preparato e specializzato è insufficiente.
Il valore degli investimenti regolari – non una tantum – per l’acquisto di libri è insufficiente.
Le politiche per la lettura che ho visto finora al Sud hanno usato il sostegno alle biblioteche – quelle poche che ci sono e continuo a ribadirlo – come un vessillo da sfoggiare nei programmi elettorali, mai ho visto poi quei paragrafi dei programmi tradursi in azioni concrete, creazioni di spazi, ricerca di fondi, progettazione a lungo termine.
La mancanza di librerie, festival, occasioni di incontro con i libri, sono certa derivi proprio dalla mancanza di biblioteche e la mancanza di biblioteche è – almeno per come l’ho vissuta io – un diritto negato.
Sono prima di tutto una lettrice, sono diventata poi una libraia e quando nel 2013 ho aperto la mia libreria a Telese Terme, in provincia di Benevento, come prima cosa ho cercato di analizzare, osservare, valutare e fotografare il contesto in cui i lettori e soprattutto i non lettori si muovevano.
Se mi piace leggere dove trovo i libri? Se devo comprarli come compro? Come mi informo? Come scopro le nuove uscite? Con chi ne parlo?
Una persona che invece non legge, come può fare per incontrare i libri? Se avesse voglia di iniziare, come può fare per trovare il libro giusto? Una persona che non legge, che vive in un contesto in cui i libri, le storie, le occasioni non ci sono, avrà mai il desiderio di iniziare? Una persona che non ha ricevuto la cura per la lettura, che non è stata esposta alla lettura di storie nella prima infanzia e negli anni successivi, a scuola, che non ha libri in casa, che non ne vede a scuola, che non ha nella sua città luoghi con accesso libero ai libri, potrà mai davvero accogliere la lettura nel suo quotidiano?
Ci sono eccezioni, certo. Penso di essere tra queste, ma fino a un certo punto. Sono diventata una lettrice perché mi annoiavo tremendamente a scuola, alle superiori. Uscendo da scuola trovavo la libreria aperta, entravo e gli scaffali pieni di libri mi accoglievano dandomi ogni possibilità di scoperta. Ho comprato di tutto, ho letto di tutto, molto per interesse diretto, certo, ma ho letto tanti altri libri soprattutto per un bisogno di mondo che, vivendo un piccolo paese, mi era negato. Parliamo degli anni Novanta, non c’erano ancora gli smartphone.
Ho avuto la possibilità di diventare una lettrice perché avevo l’urgenza della scoperta, sicuramente, ma più di ogni altra cosa perché sulla strada di casa trovavo una libreria con la porta aperta e perché avevo qualche soldo in tasca per comprare ogni giorno un tascabile. Una porta aperta e una disponibilità economica che dava valore all’acquisto di un libro.
Quando ho iniziato a riempire il quaderno dei progetti per la mia futura libreria ho scritto molte pagine per disegnare la mappa del mio territorio, per comprendere lo stato di fatto, per analizzare le differenze tra la situazione vissuta da lettrice adolescente negli anni Novanta e la situazione in cui mi sarei trovata a vivere e lavorare dal 2013.
Ho contato gli abitanti, le scuole, le associazioni, le biblioteche, ho analizzato i programmi scolastici, gli eventi culturali, le edicole e le librerie nel raggio di 30 km. Quanti anni hanno le persone che vivono qui, cosa fanno, come si muovono e perché, di cosa si parla, quali sono i temi, le urgenze, le necessità, i desideri. Ho segnato le presenze e non le assenze. Cosa c’è in questo territorio, e non cosa manca. Quello che manca è quello a cui tendere, non il disagio da cui partire. Torneremo poi su questo punto.
Quello che manca, oltre ai libri, come ho scritto in apertura sono luoghi, occasioni, professionalità, politiche, accesso. Troviamo tutti questi elementi nelle regioni del Centro Nord, non in modo capillare certo, ma abbastanza frequenti da poterli dare per sicuri.
Ho trascorso i primi anni del mio lavoro (ho iniziato nel 2001) a girare, studiare, frequentare e lavorare in contesti in cui tutto questo faceva parte della quotidianità. Mi sono beata di festival, di incontri con gli autori, di piccole case editrici, di lettori con gusti raffinatissimi e specifici. Mi sono trovata a lavorare in zone in cui Comune, scuola, biblioteca, libreria avevano creato una rete per la lettura nella quale i lettori di ogni età trovavano spazio, opportunità, libri.
Ho assistito a convegni, ho frequentato case editrici che mi raccontavano i pilastri del loro lavoro culturale. Ho ascoltato bibliotecari parlare di modalità di accesso e di utenza, non di clienti. Ho ascoltato le parole di chi vive la lettura come un diritto necessario e lavora per far sì che questo diritto sia accessibile davvero a tutti.
In particolare, è sulla la mia esperienza in Toscana, a Empoli, che ho scritto di più nel mio quaderno dei progetti per la mia futura libreria rivolti all’educazione alla lettura per bambini e ragazzi.
Ho lavorato a Empoli per quasi cinque anni, mi è stato chiaro sin da subito che lì avrei sperimentato qualcosa di nuovo. Osservando i movimenti dei clienti e ascoltando le loro richieste ho realizzato subito che queste persone si muovevano in un contesto complesso fatto di luoghi diversi della lettura, di luoghi in cui potevano sperimentare e usufruire i servizi sempre nuovi e adattati alle loro esigenze. Che cosa c’era fuori dalla libreria che consentiva tutto questo?
Insieme all’ascolto ho iniziato a fare domande. Le famiglie e i bambini – anche molto piccoli – passavano in libreria con una frequenza piuttosto regolare e vedevo che erano perfettamente in grado di riconoscere e trovare da soli i titoli sia di catalogo che novità, gli editori, gli autori e gli illustratori. Se una bambina di tre anni mi chiede un titolo esatto e sa dirmi anche il nome del suo illustratore vuol dire sicuramente che è immersa in un contesto in cui i libri, un certo tipo di libri, sono pane quotidiano. Da qui le mie richieste di racconto.
Così ho ascoltato i racconti delle letture al nido e all’infanzia, di biblioteche scolastiche che prevedevano la presenza costante e sempre rinnovata di libri di tutti i tipi, di educatrici formate e competenti, di progetti dedicati a tutta la famiglia.
Mi raccontavano poi degli spazi della Biblioteca Fucini, del catalogo, dei prestiti, delle attività per gli utenti, della Torre del racconto, delle sale studio, del chiostro bellissimo e soprattutto del senso di appartenenza che sentivano per questo luogo.
Non ho aspettato che educatrici, insegnanti e bibliotecari venissero in libreria a cercare i libri, sono andata io da loro, sono uscita fuori dal mio contesto per capire e vedere in quali modi mettevano in relazione i libri e le persone.
Perché è di relazione che bisogna parlare. Di strade che connettono, di percorsi che si sceglie di intraprendere, di spazi da creare e di opportunità da rendere accessibili.
Da libraia conoscevo solo i percorsi che mi vedevano a un capo della strada, all’altro il lettore o al massimo la scuola per gli incontri con gli autori.
Ma di altri contesti e altre dinamiche non sapevo nulla, non ne avevo nessuna esperienza. Né lavorativa e né tanto meno personale, come lettrice.
La passione comune per i libri mi ha connessa in pochissimo tempo con le educatrici, la biblioteca, le insegnanti di ogni ordine e grado. Mi sono iscritta a corsi di formazione sui libri e sulla lettura pensati per il loro settore, non per il mio. Ho scomposto l’insieme delle mie opinioni e pratiche sulla lettura per osservare la forma che queste prendevano in altre professionalità.
Ho ascoltato esigenze e punti di vista, ho imparato come i bambini a scuola e gli utenti in biblioteca si avvicinano ai libri. Ho realizzato che, come la libreria, anche la scuola e la biblioteca sono entità fluide, la loro forma e dinamica dipendono dal contenitore, dal contesto, dal territorio, dalle forze che la agitano, dalle persone che la animano.
Ho capito che non esiste un modo solo di lavorare, di leggere, di raccontare e l’idea che questi modi cambiano nel tempo perché cambiamo noi e cambia il mondo intorno a noi mi tiene vigile, attenta a cogliere ogni mutamento.
Ho desiderato far parte di quel contesto articolato aggiungendomi come nodo della rete della lettura. Ho desiderato completare le opportunità già così ampie per i lettori aggiungendo quelle che una libreria può offrire. L’aggiornamento editoriale, prima di tutto, e uno spazio per le letture con famiglie e bambini.
Confrontandomi con il lavoro degli altri attori di questa rete della lettura ho iniziato a osservarmi dall’esterno per capire quali fossero le motivazioni delle mie scelte dei titoli per le letture sul tappeto con le famiglie. Dipendevano dalle mie conoscenze, dal mio gusto, dalla vivacità del mercato editoriale, dalla turnazione del pubblico, mai lo stesso, dagli eventi grandi e piccoli che capitavano a volte dalla necessità di improvvisare.
Quando si legge insieme si fa prima di tutto amicizia, ci si guarda negli occhi, ci si conosce e a volte arrivano racconti che ispirano una lettura in particolare, o una rilettura.
Quali erano invece le motivazioni delle educatrici, delle bibliotecarie, delle famiglie? Di volta in volta sempre diverse anche le loro ma in modi diversi dalle mie.
Comprendere e sperimentare concretamente che la gestione e la cura dei libri può essere vissuta e agita in tanti modi a seconda del contesto, del tempo, del luogo, dello spazio fisico, delle risorse, delle competenze, del tipo di lettori, del tipo di accesso, a seconda della visione del mondo che uno ha: è forse la lezione più importante che ho imparato e che ancora oggi costituisce la grammatica di ogni mia scelta.
Da qualche anno ho attivato dei corsi di formazione online sull’educazione alla lettura per bambini e ragazzi destinati in particolare a insegnanti e bibliotecari, con Alice Bigli, Matteo Biagi e Simonetta Bitasi. La domanda che ci viene rivolta più spesso è sempre la richiesta di una ricetta, come fare per far appassionare alla lettura, come fare per attivare un laboratorio o un gruppo di lettura? Certo, esistono buone pratiche che condividiamo nei corsi, esistono ‘libri magici’ che ci salvano in momenti disperati, ma quello che ha più senso condividere non sono le risposte che ci siamo dati e che ci hanno fatto fare scelte precise, ma le domande che ci siamo posti prima di attivare un laboratorio o un gruppo di lettura, o prima di preparare una bibliografia o un percorso di lettura.
Le domande sì, sono comuni. A chi mi rivolgo? In quale contesto agisco? Qual è il mio scopo? Qual è lo scopo dei lettori? Quali sono le aspettative dichiarate dei lettori? E quelle che invece non sanno di avere? Quali sono le mie competenze? Sono sufficienti? Come posso migliorare? Quali sono, se ce ne sono, le altre opportunità di lettura e di incontro con i libri che hanno i lettori? La mia proposta è ridondante o si aggiunge a quelle che già ci sono arricchendo quindi le opportunità?
Prima di iniziare a progettare una qualsiasi attività è necessario quindi osservare quello che abbiamo intorno, ascoltare prima di dire, prima di proporre.
È la stessa cosa che accade in libreria quando mi chiedono un consiglio. La mia risposta non è “Ti consiglio questo libro”, mai. La mia risposta parte sempre da una domanda: “Puoi dirmi i libri che ti sono piaciuti, i generi che preferisci, o un tipo di lettura che ti piacerebbe iniziare?”. Al centro devono esserci i lettori, non i libri [Chambers, 2015].
Quando ho aperto Controvento nel 2013 mi sono presa il tempo per trovare e analizzare tutte le risposte alle domande di cui sopra. Mi sono concentrata su cosa c’era in questo territorio, su cosa potevo contare, con cosa e con chi potevo interagire, e non su ciò che mancava, biblioteche, spazi, occasioni.
Come ho già scritto, quello che manca è forse quello a cui tendere, non il disagio da cui partire. Dico ‘forse’ perché, in contesti in cui è ancora tutto da fare, è anche possibile che nascano nuovi modelli, diversi da quelli esistenti a cui ci si può solo ispirare. Quanto dovrò ancora aspettare per vedere qui le stesse opportunità di cui ho goduto altrove? Non lo so, non ho il tempo di pensarci e non ho intenzione di attendere senza fare nulla. Parto da quello che ho, dalle presenze – poche, è vero – ma inizio a progettare con quelle. Ho tenuto sempre la porta aperta, ho preso appunti, ho detto sì a ogni richiesta di collaborazione per interagire e conoscere le realtà già attive sul territorio, ho gestito lo spazio della libreria come una piazza aperta.
Il concetto di ‘piazza aperta’ mi è particolarmente caro, vi racconto il perché.
Il paese in cui sono cresciuta si chiama Cerreto Sannita, a pochi chilometri da Telese Terme, dove poi ho aperto la libreria. L’attuale centro urbano è ‘città di fondazione’, ricostruito su un progetto preciso in seguito al violentissimo terremoto del 1688 che distrusse il primo centro urbano, che si trovata più in alto. La nuova Cerreto fu ricostruita pochi anni dopo con criteri antisismici, con strade perpendicolari, case basse massimo di due piani e soprattutto con molte piazze che avrebbero assunto il ruolo di posto sicuro e aperto, come luogo di raccolta e salvezza per tutti i cittadini.
La ‘piazza aperta’ accessibile da almeno tre lati, tutti noi Cerretesi conosciamo questa storia e il suo valore. L’abbiamo studiata a scuola, ma soprattutto abbiamo passato il tempo a giocarci da bambini e poi da adulti a chiacchierare nelle domeniche di sole. Le piazze del mio paese sono stati i luoghi in cui da piccola ho potuto giocare da sola, in cui incontravo sempre qualcuno, in cui non succede nulla di grave perché tanto ci sono sempre adulti che danno un occhio a tutti i bambini. La piazza è il luogo più umano di una città perché si incontra l’altro, anche se non lo avevi in programma, si cresce, ci si evolve. La mia idea di libreria arriva da qui.
Per un paio d’anni sono stata a osservare cosa accadeva nella mia piazza libreria, ho fatto domande, ho accolto le proposte di altri, ho preso appunti. Ho disegnato la mappa e ho cercato di dare una risposta a tutte le famose domande. Solo dopo ho iniziato a progettare le attività e gli incontri.
Parallelamente alla nascita del gruppo di lettura adulti, ho iniziato a lavorare con attenzione allo scaffale del fantasy, a quello dedicato alla fascia 11-14 e a tutto il reparto bambini e ragazzi che costituisce la metà esatta del catalogo della libreria.
Per lo scaffale fantasy e 11-14 mi sono fatta aiutare da C.P., una ragazza che all’epoca frequentava la scuola secondaria di primo grado, grande lettrice conosciuta all’apertura della libreria. Prima di parlare di libri, abbiamo parlato di scuola, di tempo libero, dei temi che circolavano a scuola e nel suo gruppo di amici. Ho cercato di farmi raccontare il modo in cui si muoveva nel suo mondo e il modo in cui comunicava con i suoi amici, come usavano gli smartphone, sia i suoi amici lettori sia i non lettori.
Le ho raccontato che poteva passare in libreria tutto il tempo che voleva, che poteva prendere e sfogliare ogni libro e chiedermi qualsiasi cosa, consigliarmi e raccontarmi le sue letture. Ha iniziato a usare la poltrona rossa per sfogliare, a girare fra gli scaffali, a chiedermi come scelgo i titoli e perché li posizionavo in un determinato punto. Ha iniziato a portare i suoi amici. Nel giro di poco sono arrivati tanti altri studenti a passare i pomeriggi in libreria. “Posso guardare, posso prendere, quanto costa, ma è adatto a me?”.
Queste domande mi raccontavano che no, aver aperto una libreria, tenere i libri a portata di mano non è sufficiente se i lettori – o i non lettori – non ne conoscono le possibilità.
All’ennesimo ‘posso’, sono uscita fuori dal banco e ho fatto un discorso a C.P. e al suo gruppo di amici. Ho trascorso un pomeriggio a insegnare come si naviga in uno scaffale, come funziona l’ordine alfabetico di uno scaffale (competenza che credo sia andata totalmente persa), come si riconosce una casa editrice, dove si trova il prezzo e cosa diavolo è il colophon.
Ho raccontato loro che potevano aprire e sfogliare tutto, che potevano chiedermi di tenere da parte un libro, che mi interessava molto conoscere i loro interessi e il loro parere sui libri letti. Che per decidere se acquistare un libro ci vuole un po’ di pazienza e non basarsi solo sulla quarta di copertina. Ci si siede e si leggono delle pagine, all’inizio, al centro, si prova a sentire se con quella scrittura abbiamo affinità, se abbiamo voglia di continuare. Si cerca quindi di valutare in autonomia. E poi solo dopo scegliere se acquistare o no.
Sempre C.P. mi chiede del gruppo di lettura adulti, di cosa leggiamo, di cosa parliamo, di come scelgo i libri. “E perché per noi no?”. Perché non avevo ancora attivato un gruppo di lettura per loro? Ci avevo pensato, ma non mi sentivo pronta, ma lì in quel pomeriggio seduti per terra in cerchio ad ascoltarci e raccontarci non ci ho pensato un attimo.
Facciamolo allora. Tenevo un diario della libreria all’epoca, e su quel pomeriggio ho scritto pagine e pagine. È iniziata così l’avventura del gruppo di lettura ragazze e ragazzi delle medie e biennio delle superiori. È stato chiaro fin da subito che quello spazio per i libri era prima di tutto uno spazio per loro in cui attraverso i libri potevano provare a raccontarsi.
Ma anche qui abbiamo incontrato molte difficoltà. In un gruppo di lettura non ha molto senso raccontare la trama del libro, lo abbiamo letto tutti, sappiamo di cosa parla. Nel gruppo vogliamo conoscere ‘la tua lettura’, il tuo pensiero, cosa è successo mentre leggevi, se ti è venuto in mente un altro libro, o una canzone, se un personaggio ti ha colpito, se la scrittura ti è sembrata difficile ecc.
Ma seppure la voglia di ascoltare gli altri era molto alta, la capacità di interagire, prendere la parola, dibattere e raccontare sembrava frenata. Al mio ennesimo commento sulla voglia di ascoltare un racconto personale e non la trama si alza in piedi E., arrabbiatissima e in lacrime, dicendomi – cito dal mio quaderno – “Non sappiamo proprio farlo, nessuno mai ci chiede cosa pensiamo, dobbiamo solo fare i compiti”. Pausa.
Ci fermiamo, mi scuso con tutti loro e cerco di approfondire. Ancora una volta, aver creato uno spazio libero non vuol dire che i suoi destinatari sappiano muovercisi dentro.
Mi prendo del tempo e torno all’incontro del mese successivo con una nuova scheda per loro piena di possibili spunti di racconto.
La copertina: fa spoiler della storia? È coerente? Cosa racconta? Ci sono aspetti non presenti nel libro o completa l’immaginario creato dalla storia?
La quarta di copertina: fa spoiler? È scritta bene? Come deve essere una quarta scritta bene? Vogliamo provare a riscriverla?
Che tipo è il protagonista? Lo vorresti come amico? Cosa sappiamo? Cosa vorresti sapere? Ti ricorda un personaggio di un altro libro?
La scheda era piuttosto lunga e mentre la presentavo mi venivano in mente altri mille spunti da inserire. La presentazione di queste righe mi è servita per proporre loro un canovaccio su cui basarsi per iniziare a esplorare la loro esperienza di lettura.
Li ho invitati a tenere un taccuino di lettura in cui segnare man mano tutto quello sembrava loro rilevante. Una citazione, una parola, una connessione, un ricordo, una frase non capita, una lacrima.
L’incontro successivo è stato bellissimo, vedere tutti questi taccuini creativi, segretissimi e ascoltare alcuni di loro leggere le stesse citazioni. In molti avevano sottolineato le stesse frasi e si erano poi commossi al pensiero che la persona che avevano d’avanti avesse avuto la stessa emozione.
È nato un passaparola sfrenato, ho dovuto scindere il gruppo perché erano in troppi e non riuscivo a fare un incontro così affollato.
Abbiamo sperimentato sia incontri a libro unico – si legge lo stesso libro a casa e se ne parla poi insieme all’incontro – che incontri a scelta libera – ognuno sceglie un libro a suo piacimento e lo racconta poi durante l’incontro.
Questa seconda opzione non è piaciuta a nessuno, seppure le letture dei compagni diventassero consigli per le letture successive, sentivano di aver perso il dialogo durante l’incontro. Il desiderio di ascoltare gli altri e confrontarsi su un tema comune era più forte.
I lettori forti si sentivano stimolati dall’ascolto di altri punti di vista, i lettori più fragili invece si sentivano sostenuti dal gruppo. Sapere di avere una data entro cui leggere, sapere che puoi anche solo ascoltare e non parlare li tranquillizzava.
Se tutti hanno letto lo stesso libro, il lettore più timido che sceglie di stare in silenzio, riesce comunque a partecipare perché quello di cui si parla gli è noto. Ma raramente ho avuto lettori silenziosi. Quando il lettore più fragile riconosceva qualcosa di noto nelle parole del lettore più forte si sentiva rassicurato e trovava poi il coraggio per iniziare a dialogare.
Gli incontri erano momenti ricchissimi, si parlava non solo del libro ma tanto anche di libreria. Erano molto curiosi del mio lavoro così ho organizzato per loro un minicorso per conoscere più a fondo il mio lavoro. Abbiamo incontrato autori soprattutto online perché i costi da affrontare per ospitare un autore non erano e non sono ancora sostenibili. Abbiamo creato un gruppo privato su Facebook per continuare a parlare di libri anche dopo l’incontro. Siamo poi andati in trasferta come giurati e intervistatori al festival Mare di libri di Rimini. Sono cresciuta insieme a questo primo gruppo, poi sono andati tutti via lontano all’università e io ho ricominciato l’anno successivo con un nuovo gruppo di giovani lettori.
Come ho già scritto, dall’apertura della libreria ho osservato moltissimo i forti lettori, che ci sono, nonostante tutto. Essere un forte lettore non implica affatto sentirsi a proprio agio nei luoghi dei libri. Se quei luoghi non li hai mai frequentati, non ne conosci le dinamiche e le opportunità. Sei abituato alla solitudine.
I forti lettori che ho incontrato compravano soprattutto online o nelle librerie dei centri commerciali. Il lettore che frequenta questo tipo di libreria entra, gironzola, guarda soprattutto i libri esposti di piatto se ama la narrativa, il lettore di saggistica invece mi raccontava che passava molto più tempo a spulciare lo scaffale. Scelti i libri si siedono, sfogliano, poi pagano e vanno via.
Ho chiesto poi a tutti i lettori con cui ero più in confidenza di compilare un questionario sulle abitudini di lettura senza dire apertamente che il mio scopo era conoscerle, ma dichiarando in modo più generico: voglio conoscervi per rendere la mia libreria un luogo più accogliente. Il lettore fragile, o il non lettore probabilmente non avrebbe scritto nulla perché a monte si sarebbe sentito escluso. Oltre 250 schede compilate da adulti, ragazzi e famiglie e bambini. Il materiale più prezioso che ho.
Dalle schede compilate dalle famiglie e dai bambini ho notato subito la forte presenza di classici e di titoli mainstream. Forti lettori ma poca o nessuna conoscenza dei titoli più importanti, nessuna informazione sulle novità o sulle case editrici italiane. Il desiderio costante che trovavo nelle schede di tutti era la richiesta di nuovi titoli e soprattutto di strumenti per scegliere, valutare e cercare.
Ecco perché sono partita dal catalogo, privilegiando la scelta dei titoli più importanti delle varie case editrici italiane e non le novità che invece possono avere vita brevissima. Volevo invece dei pilastri. Ho creato poi uno spazio importante per l’esposizione degli albi illustrati. Ma ancora una volta la presenza e la dichiarazione di libero accesso ai libri non era sufficiente. Se il lettore non ha strumenti per scegliere non sceglie, non si dirige allo scaffale, al massimo cerca ciò che conosce già, che lo rassicura. I titoli mainstream appunto. Oppure viene direttamente al banco e chiede.
Ho trascorso ore a consigliare, aprire, mostrare per raccontare. Vedevo l’immediato entusiasmo dei bambini e la perplessità dei genitori di fronte a certi titoli. Non avendoli mai visti, non avendo albi illustrati a casa e a scuola, la mia proposta era troppo lontana dal noto e dal rassicurante.
Leggere con i bambini spaventa, in tanti pensano che si debbano avere competenze particolari, doti teatrali, conoscenze specifiche. Le mie rassicurazioni non servivano. Ho iniziato così a propormi come specchio. Ho organizzato moltissime letture a libero accesso. Un momento bellissimo per la libreria piena di adulti e bambini. Ho cercato di far vedere che serve solo sedersi vicini e leggere, senza vocine, senza effetti speciali. Ho coinvolto all’inizio anche operatrici per realizzare laboratori dopo le letture per soddisfare una chiara richiesta dei genitori.
Ma c’era ancora qualcosa di stonato. Ho chiarissimo il ricordo di me un sabato pomeriggio che riordino la libreria dopo un evento con i bambini. Che sto facendo? A che cosa serve tutto questo se poi tornano a casa e non leggono insieme? Vengono qui entusiasti, ascoltano abbracciati, stanno bene e lo vedo, poi però scelgono di comprare un gioco o libri per colorare e non un libro.
Cosa sto sbagliando? Qual è esattamente il mio scopo? A cosa e a chi servono tutti quei bei libri esposti? Non ho aperto la libreria per intrattenere le famiglie.
Mi sono fermata, ho bloccato tutti gli incontri e sono tornata a riflettere sulle famose domande. Tra le parole chiave di questo articolo ci sono sicuramente ‘relazione’ e ‘rete’. Nelle esperienze che ho raccontato, in particolare quella toscana, ho visto quanto la relazione tra scuola, biblioteca, famiglie e libreria fosse virtuosa, quanto questa relazione rendesse i lettori esperti, grandi e piccoli. Ecco, sono ripartita da questa considerazione. Per creare lettori ci vuole relazione. La stavo creando? Forse no.
Non aveva molto senso creare eventi destinati ai bambini se poi questi bambini tornavano a casa e trovavano un ambiente in cui il libro non aveva piantato dei semi, un ambiente in cui chi si occupa di loro – i genitori – non si occupava anche dei libri e della lettura. Il punto era qui. Andavano coinvolti i genitori. La famiglia, come ho visto e sperimentato in Toscana, è il primo nodo di questa rete.
Sono ripartita delle famiglie, ancora una volta dalle presenze e non dalle assenze. Cosa c’è in questo territorio, e non cosa manca. Su cosa e su chi posso contare, con chi posso interagire per iniziare a intrecciare i fili? Inutile in quel momento pensare alla scuola, lavoro che richiede un tempo e una disponibilità che in quel momento, lavorando da sola, non avevo.
La libreria deve quindi occuparsi anche della famiglia. È in famiglia che i bambini appena nati dovrebbero iniziare a scoprire i libri, ascoltare storie, iniziare a manipolarli e conoscerli. Per poi continuare a scuola, in biblioteca e in libreria. Così ho unito il desiderio dei genitori di far partecipare i bambini ai gruppi di lettura, alla necessità di dar loro degli strumenti. Ho strutturato i gruppi non esclusivamente per i soli bambini, ma per tutto il nucleo famigliare. Ho diviso i gruppi in base all’età dei bambini – a partire dai 3 anni fino alla quinta elementare – e per ogni gruppo davo un libro in lettura.
I genitori leggevano a casa il libro insieme ai bambini e poi dopo circa un mese ci incontravamo in libreria, genitori e bambini insieme per parlarne. Strutturavo l’incontro in base all’età, con i piccoli rileggevo la storia abbracciandoli tutti con lo sguardo, la lettura era corale perché tutti conoscevano quelle pagine, quelle parole, quelle illustrazioni. Mi bastava poi dare un timido via alle domande che subito i bambini facevano a gara per dirmi dove avevano riso, dove si erano spaventati, quale era stata la pagina o il personaggio preferito. Diversi bambini trascorrevano l’oretta di incontro in braccio ai genitori, ascoltando me e gli altri in silenzio. Mi piaceva guardare quel momento di tranquillità che si godevano nella mia libreria.
Lo spazio dell’incontro era dedicato anche alle mamme, i papà hanno partecipato pochissimo in libreria, ma molto a casa, leggendo con i bambini. Mi raccontavano com’era stata l’esperienza di lettura non solo per i bambini ma anche per loro. Hanno iniziato piano piano a formarsi un gusto su autori e illustratori, a riconoscere le case editrici, a godersi il momento di lettura senza pensare di somministrare una medicina o di rendere performante il momento. Al termine dell’incontro piano piano ho visto che mamme e bambini iniziavano a dirigersi agli scaffali dei libri e non più a quelli dei giochi. Si scambiavano consigli con le altre mamme, si fermavano a sfogliare e leggere con i bambini, usavano finalmente lo spazio della libreria fino in fondo. Durante gli incontri davo anche ai bambini qualche strumento per orientarsi tra gli scaffali, ho insegnato loro a sfogliare senza sciupare, a rimettere i libri al loro posto, a riconoscere i loghi delle case editrici.
Per i gruppi dalla prima alla terza elementare davo da leggere dei libri un po’ più lunghi di quelli che i bambini potevano leggere da soli, non solo per allenare l’attenzione ma per rendere il coinvolgimento delle famiglie necessario. Un bambino di prima elementare è in grado di leggere da solo libri molto semplici con frasi molto brevi, ma è perfettamente in grado di ascoltare e comprendere racconti più lunghi e articolati. Ecco che la lettura dei genitori si rendeva necessaria. Tra questi bambini c’era sempre qualcuno in grado di leggere da solo anche libri più lunghi e complessi, ma mi confessavano che preferivano comunque conservare il momento di lettura insieme. Per la lettura autonoma mi chiedevano poi consigli per altri libri o andavano da soli allo scaffale con mia grandissima soddisfazione e con enorme stupore dei genitori.
L’incontro del gruppo di quarta e quinta elementare era invece senza genitori, per la lettura a casa invece stesse regole. Per questo particolare gruppo di passaggio cambiavano un po’ tutte le dinamiche. Avendo partecipato agli incontri degli anni precedenti, mi trovavo di fronte piccoli lettori esperti e competenti sui libri ma anche capaci di raccontare la loro lettura e abituati al dialogo. Non è mai servito alzare la mano per chiedere il turno di parola, avevano imparato ad ascoltarsi.
Altra cosa importantissima di cui mi sono resa conto dopo: i genitori di bambini con bisogni educativi speciali, con difficoltà nella lettura, avevano trovato uno spazio in cui la lettura finalmente non rappresentava più una difficoltà, ma qualcosa di cui anche i loro figli potevano godere. Leggevano loro per i bambini a casa e questi bambini durante l’incontro erano perfettamente integrati con il gruppo, conoscevano la storia come gli altri e potevano parlarne.
Le mamme dei bambini che partecipavano a questo gruppo di quarta e quinta elementare mi hanno confessato subito il dispiacere di aver perso l’esperienza del gruppo insieme ai bambini e alle altre famiglie. Avrebbero continuato a leggere per loro a casa, anche per il piacere della scoperta dei libri di letteratura per bambini e ragazzi.
Si era sparsa la voce, le mamme parlavano con le altre mamme, i bambini parlavano con gli altri bambini, piano piano di sera trovavo lo scaffale degli albi illustrati sempre più in disordine e i bambini portavano i libri del gruppo di lettura a scuola per raccontarlo alle educatrici e alle maestre.
E così finalmente sono arrivate in libreria anche loro, con il passaparola dei bambini.
Ho incontrato in libreria insegnanti dei vari paesi qui intorno, ho ascoltato il racconto dei progetti, delle letture che facevano in classe, della solitudine che provavano per la mancanza di condivisione con i colleghi, del desiderio di avere una biblioteca, di essere informate sulle nuove uscite e sui cataloghi, della necessità di incontro e dialogo con altre insegnanti che come loro mettevano i libri al centro della didattica. E allora perché non mettere insieme queste insegnanti di plessi diversi che non si conoscevano tra loro ma che erano unite dalla stessa passione? Sono nati così due gruppi di lettura per insegnanti.
Abbiamo letto e analizzato, durante tutti gli incontri, Il lettore infinito di Aidan Chambers, un capitolo alla volta. Insieme davo in lettura un libro chiave di letteratura per bambini e ragazzi, ne parlavamo insieme cercando di liberarci della lettura finalizzata alla didattica per accogliere semplicemente la lettura di una bella storia. Lettrici prima che insegnanti. In breve tempo quasi tutte hanno attivato in classe dei gruppi di lettura negli orari pomeridiani, alcune sono riuscite a far incontrare le classi di plessi diversi.
La libreria è arrivata in pochi anni ad avere 13 gruppi di lettura. Gli eventi, il catalogo, gli ordini, gli spazi, le mie ferie... tutto ruotava intorno ai gruppi.
Poi è arrivato il Covid. Libreria chiusa, tutti a casa. Nei primi mesi di chiusura ho cercato di tenere il filo dei racconti con le famiglie e bambini, abbiamo fatto videochiamate, ho inviato audioracconti e in ogni pacchetto di libri spedito non facevo mai mancare una mia lettera per la famiglia e i bambini. Ma in breve tempo è stato chiaro a tutti che l’online non poteva essere né una sostituzione né tanto meno una soluzione seppur temporanea.
Anche questa volta ho deciso di fermarmi per riflettere. Cambiando gli spazi, anzi, eliminando lo spazio fisico di incontro, cambiando il contesto, gli stati d’animo, la quotidianità, bisognava ancora una volta, ripensare completamente a ogni progetto.
Le scuole in Campania sono state in didattica a distanza per molto tempo, la libreria ha riaperto ma senza la possibilità di fare incontri, qui non ci sono molti spazi grandi, non ho ancora ripreso i gruppi in presenza. Ho continuato gli incontri online solo con il gruppo degli adulti. Ho messo in pausa anche i gruppi delle insegnanti: con loro però, nonostante tutto, si è fatto più fitto il mio dialogo, non hanno mai smesso di venire in libreria e di condividere con me letture, progetti e idee.
In questi due anni di ‘pausa’ ho studiato e intensificato moltissimo i corsi di formazione online per insegnanti e bibliotecari, ho cercato e ascoltato racconti ed esperienze da varie parti d’Italia e ho realizzato che nonostante la presenza in certi luoghi di spazi e opportunità che oggettivamente qui forse arriveranno nel prossimo secolo, resta sempre un senso di solitudine. Chi si occupa di educazione alla lettura, chi vuole iniziare, sente sempre la necessità di cercare altrove non solo stimoli – e questo è anche giusto – ma soprattutto supporto, risorse ed energie. Manca a monte una politica, una legge, un sistema condiviso di valori che metta davvero la lettura al centro.
Questi due anni sono stati per me una specie di ‘letargo’ in attesa della primavera, sono stata ferma con gli incontri ma ho studiato, pensato, osservato e atteso.
Ho riorganizzato gli spazi della libreria, il catalogo, mi sono rimessa in ascolto come nei primi anni di apertura. Sto riprendendo piano piano a scrivere progetti e idee, sto intravedendo dei nuovi spazi e possibilità.
Il mondo fuori e dentro la libreria è cambiato, sono cambiati i lettori e sono cambiata anche io. Devo trovare ancora una volta, nuove risposte alle famose domande.
Sono pronta.