Comunicare la resilienza: le biblioteche italiane durante la pandemia
Biblioteca di Scienze sociali, Università degli studi di Genova; testoni@unige.it
Per tutti i siti web l’ultima consultazione è stata effettuata il 22 ottobre 2020.
Abstract
Questo articolo analizza, con un particolare focus sulla comunicazione verso gli utenti, la reazione delle biblioteche italiane al primo lockdown dovuto alla pandemia di Covid-19, evento che segna una significativa interruzione nel regolare fluire dell’intera vita sociale.
Si illustra come il ruolo delle biblioteche sia stato informare correttamente gli utenti in un contesto segnato dall’“infodemia” cioè dal proliferare di informazioni false o confusive, contrastando le disuguaglianze nell’accesso alla conoscenza e l’abbandono scolastico.
In questa fase critica, in cui occorre prepararsi per una lunga durata dell’emergenza sanitaria, si articolano ipotesi su alcune priorità: fornire informazioni a tutta la comunità fronteggiando il divario digitale, mantenere, fintanto che sarà possibile, sia i servizi digitali che quelli in presenza, consolidare la migrazione di documenti verso il digitale anche attraverso una più ampia interpretazione delle normative sul copyright.
English abstract
This paper analyzes, with a specific focus on communication with patrons, the Italian libraries reaction to the lockdown due to the Covid-19 pandemic, a very disruptive event in our communities.
We consider the librarian’s role in correctly informing the served community in a context strongly affected by “infodemic”, or the proliferation of fake and vague news, in contrasting both the unequal access to knowledge and the drop out of school.
In this critical stage of pandemic, we need to be resilient and ready for a long-lasting health emergency, so we discuss some hypothesis on the next priorities: providing information to our communities, maintaining both digital and face-to-face services, fighting the digital divide, strength the migration of the documents to digital, even by a broader interpretation of the copyright laws.
Covid-19: un evento globale e disruptive. Le biblioteche
La pandemia di Covid-19 è un evento disruptive che ha fatto irruzione della vita privata e sociale di tutti, modificandone il regolare fluire.
Nel contesto globalizzato in cui tutti viviamo un evento pandemico opera una “messa alla prova” formidabile di tutti gli aspetti che regolano le nostre comunità: presenta dilemmi etici, impone modifiche strutturali nelle organizzazioni complesse, rende questionabili dogmi macroeconomici, cambia gli stili di vita.
Non c’è attività che sia rimasta immune da questo evento planetario, che assume le caratteristiche di “iperoggetto”: entità onnipresente che ingloba l’umanità con effetti devastanti, non è localizzabile eppure comporta conseguenze a lunghissimo termine.
Abbiamo qualche dato su come le biblioteche hanno reagito allo shock causato dalla pandemia di Covid-19; numerose testimonianze ci aiutano a capire cosa è accaduto in ambito italiano.
Obiettivo di queste note è presentare le modalità adottate dalle biblioteche per comunicare con i loro utenti durante il periodo dell’emergenza, individuare aporie e criticità, formulare alcune ipotesi di lavoro per affrontare il prossimo periodo che, mentre scrivo, si annuncia preoccupante circa l’emergenza sanitaria e sociale.
Le biblioteche, spazi pubblici ma anche luoghi della memoria, dello studio e dell’aggregazione comunitaria, appartengono a quel settore culturale e creativo che intrattiene un rapporto indissolubile con il pubblico “in presenza”. Anche per questo, durante il lockdown imposto dalle autorità sanitarie, le biblioteche hanno dovuto affrontare una sfida radicale e formidabile, che purtroppo non può considerarsi conclusa.
La narrazione che sovente incontriamo in riferimento ai mesi di sosta forzata, che ha modificato la vita di molti (ma non di tutti), è che “nulla sarà più come prima” dopo questa inedita prova.
Un altro ragionamento molto diffuso è che il lockdown ha generato un’accelerazione in senso tecnologico non programmata ma messa in pratica in tempi brevi. In effetti nel giro di poche settimane abbiamo assistito a una trasformazione inimmaginabile pochi anni fa: smart working e didattica a distanza da vaghi progetti pilota sono diventati una pratica di massa.
Proviamo allora a delineare le maggiori sfide che questa fase così complessa ha comportato per le biblioteche, con un focus specifico sulla comunicazione. Infatti, durante il lockdown la meta-attività che è stata oggetto di un vero e proprio “stress test” è stata comunicare la biblioteca, espandere i suoi confini, farla entrare nelle case degli utenti, nella loro vita quotidiana e nei loro dispositivi.
Questa attività, è bene ricordarlo, è stata svolta mentre i bibliotecari erano a loro volta confinati in casa, senza aver avuto il tempo di programmare una virata verso servizi al 100% digitali e senza che la maggior parte di essi fosse abituata a uno stile di lavoro per obiettivi e non rigidamente strutturato in fasce orarie.
Il ruolo dei bibliotecari tra servizi smaterializzati ed empatia necessaria
Durante la pandemia tutte le biblioteche pubbliche hanno dovuto interrompere i servizi in presenza e chiudere i locali. La sfida è stata programmare, realizzare e comunicare una presenza digitale di qualità e far pervenire agli utenti quanto loro necessario. Occorre considerare che, quando un servizio in remoto non funziona bene, può essere compensato e corretto dalla presenza, con una telefonata o un colloquio col bibliotecario: la biblioteca aperta e regolarmente funzionante può infatti mitigare e correggere eventuali insuccessi della comunicazione digitale. Quando le biblioteche hanno chiuso e i bibliotecari sono rimasti a casa, la pagina web, la biblioteca digitale e i media sociali sono diventati il solo modo per comunicare la biblioteca: se quella comunicazione non avesse funzionato non ci sarebbe stata, come prima, alcuna compensazione possibile.
Le biblioteche civiche e di prossimità hanno dovuto fronteggiare il compito loro proprio di informare il grande pubblico sugli argomenti di attualità (primo tra tutti la pandemia) in modo responsabile e con fonti attendibili; oppure accompagnare bambini e famiglie in attività che la scuola chiusa rendeva ancora più necessarie (lettura di gruppo a distanza, videolaboratori, podcast). Per i ragazzi più grandi un supporto nei compiti era fondamentale per contrastare o prevenire la dispersione scolastica. Alcuni utenti hanno chiesto alla biblioteca semplicemente qualcosa da leggere per passare il tempo libero e vuoto: le biblioteche hanno infatti registrato un balzo nell’accesso agli e-book.
Per le biblioteche accademiche si è trattato da subito di mettere più che mai al lavoro e alla prova gli strumenti della biblioteca digitale: discovery tool, link resolver, proxy per accompagnare la didattica a distanza a cui rapidamente si sono dovuti adattare studenti e docenti.
Se posso inserire qui una testimonianza personale, i nostri utenti hanno chiesto alla biblioteca, in termini di risorse digitali, letteralmente “di tutto” e l’istituzione si è organizzata ampliando le risorse esistenti o sottoscrivendone di nuove per fornire questo “tutto”, ma anche per far conoscere al meglio ogni servizio della biblioteca digitale.
Pandemia e “infodemia”: cosa e come comunicare
Durante la pandemia i bibliotecari hanno dovuto comunicare e informare sul Covid-19 e nonostante il Covid-19.
Per molti bibliotecari la formazione e l’apprendistato sui media sociali erano stati concepiti per fare advocacy, promuovere i servizi, generare engagement; durante la pandemia è stato necessario usare i social media in modo diverso. In altre parole, si è dovuta abbandonare la comfort zone del marketing e dell’advocacy per entrare con discrezione nelle case delle persone in momenti difficili, generare empatia ed erogare direttamente servizi. È documentata l’iniziativa di letture ad alta voce trasmesse attraverso Facebook, ma anche l’attivazione di webinar, gruppi di lettura online, webradio. C’è stata, da parte dei bibliotecari, una rapida autoformazione sull’uso dei servizi di videoconferenza proliferati nel frattempo in rete: Skype, Google hangout, Microsoft teams erano già noti, si sono aggiunti Google meet e soprattutto Zoom, che ha raggiunto una popolarità globale.
I sistemi di videoconferenza sono diventati lo standard per ogni tipo di riunione tra colleghi e l’unico sistema per continuare a svolgere le consuete attività di consulenza bibliografica, integrando la videochiamata con la condivisione dello schermo.
Comunicare la biblioteca ha anche significato diffondere informazioni corrette su Covid-19. La disseminazione delle informazioni è una attività tipica della professione bibliotecaria: si tratta di rendere disponibili in forma organizzata, leggibile e dotata di senso informazioni di qualità, attendibili, autorevoli e appropriate al tipo di pubblico a cui sono destinate. Gli editori biomedici e le grandi istituzioni scientifiche hanno aperto portali tematici, perlopiù in accesso aperto, con articoli pubblicati o in via di pubblicazione sul Covid-19 che le biblioteche accademiche hanno proposto a studenti e studiosi.
Diversa la prospettiva per le biblioteche di pubblica lettura e civiche: come è stato osservato la disseminazione di informazioni di comunità su Covid-19 per il grande pubblico era operazione non banale e urgente. Le informazioni sulla pandemia non sono scarse ma, al contrario, sovrabbondanti. Si rendeva quindi necessaria un’attività rigorosa di ordine del rumore, con l’obiettivo di contrastare l’infodemia, ovvero l’eccesso di informazioni spesso false, sensazionalistiche o, viceversa orientate a negare la gravità (e perfino l’esistenza) della malattia.
La comunicazione sul Covid-19 doveva non solo fare in modo che le persone fossero adeguatamente informate, ma anche che fossero consapevoli dei comportamenti appropriati. La biblioteca pubblica non poteva rispecchiare la babele di opinioni controverse che dilagavano in ogni talk e sito web; ma piuttosto costruire uno storytelling empatico e solidale, scegliendo alcune fonti sicure e istituzionali, in grado di fornire informazioni utili, accurate e a supporto della sanità pubblica.
Warning: gli utenti non sono tutti iperconnessi
Come hanno reagito gli utenti alla chiusura delle biblioteche? Per l’ambito italiano alcuni dati, ancora parziali, segnalano un aumento degli iscritti ai servizi digitali (abbiamo già ricordato l’aumento del prestito di e-book) e una variazione in positivo dell’attenzione verso i profili social dell’istituzione, soprattutto Facebook e Instagram. Il sentire degli utenti verso le biblioteche sembra essere orientato alla gratitudine e all’attesa della riapertura.
Come sottolineato in queste note, smart working e didattica a distanza sono diventati, durante la pandemia, una pratica ampiamente diffusa. I dispositivi mobili hanno permesso di incontrare parenti, fare la spesa, non perdere i contatti con persone anziane o amici.
Ritengo tuttavia che sarebbe un errore di prospettiva dare per scontato che a casa tutti fossero iperconnessi e pronti a ricevere tweet e podcast della biblioteca di riferimento. Occorre ricordare che non tutte le persone hanno potuto accedere nello stesso modo alla rete, non in tutte le case c’è un computer o un tablet per ogni membro della famiglia, esistono elementi fortissimi di divario digitale, notevoli differenze tra Nord e Sud e tra famiglie con minori e famiglie composte da anziani soli.
Uscendo dall’ambito italiano, vale la pena segnalare una ricerca empirica che, studiando il flusso dei prestiti di libri digitali per bambini, osserva che durante il lockdown la forbice nell’accesso ai servizi digitali generata dalle classi di reddito e istruzione si è accresciuta. In altre parole, il Covid-19 ha aumentato le diseguaglianze nelle opportunità di apprendimento.
Comunicare la biblioteca: cosa abbiamo imparato (e cosa si potrebbe migliorare)
Va detto con chiarezza che sarebbe davvero semplicistico, oltre che falso, considerare un “prima” della pandemia con le biblioteche ancorate alla carta e alla presenza fisica e un “dopo” con le medesime biblioteche proiettate verso la smaterializzazione di tutti i servizi. Il cambio di paradigma verso il digitale è già maturato da tempo, sia per le biblioteche accademiche sia per le civiche; la pandemia ha semplicemente messo alla prova in modo inusuale e imprevisto innovazioni e buone pratiche che vengono da lontano. Senza di esse le biblioteche non avrebbero avuto quella capacità di essere resilienti e di fornire servizi digitali che si è realizzata a tutti i livelli.
Vale la pena di riprendere una serie di priorità indicate da tutte le agenzie e le associazioni di biblioteche nel mondo, che provo a declinare sulla situazione italiana.
Fornire informazioni a tutta la comunità in un momento di crisi (e comunicarlo) è la priorità assoluta
In questa priorità rientrano il potenziamento delle collezioni digitali, eventualmente utilizzando i budget destinati all’acquisto dei libri di carta; ma anche il miglioramento dei siti web, ad esempio prestando più attenzione all’esperienza d’uso (UX) degli utenti, alla leggibilità dei contenuti, alla capacità di comunicare in modo efficace ed empatico, salvaguardando la terzietà dell’istituzione
Occorre prestare grande attenzione a comunicare bene l’uso di servizi che, dalla riapertura, sono soggetti a restrizioni. Le biblioteche devono infatti adottare nuove procedure non consuete e non rodate, come la prenotazione dei posti a sedere e il tracciamento degli utenti.
Non dobbiamo dimenticare che il sito web, l’OPAC e il discovery sono e saranno sempre più l’unico modo, oltre ai profili istituzionali nei social media, con cui la biblioteca comunica sé stessa in periodi di crisi. Questa attenzione all’usabilità dei contenuti digitali andrebbe applicata con urgenza dagli editori accademici, che oggi – e durante la fase più dura del lockdown – presentano portali non intuitivi che prevedono download limitati e complessi oppure licenze che impediscono il document delivery.
Restando sul tema generale dell’accesso ai contenuti osserviamo che le pratiche della scienza aperta, tra cui l’accesso aperto, hanno registrato una positiva accelerazione. La pandemia è stata un catalizzatore formidabile per le politiche di openess della letteratura scientifica: come abbiamo visto numerosi editori hanno rilasciato ad accesso aperto articoli e preprint covid-correlati.
D’altro canto, però, le pratiche di apertura hanno generato alcuni corto circuiti, stigmatizzati dal movimento per la scienza aperta: documenti pubblicati troppo frettolosamente e poi ritirati, tempi di peer review eccessivamente brevi, debolezze metodologiche causate dalla mancata apertura dei dataset e delle evidenze alla base degli articoli. Ciò rende chiaro come l’accesso aperto, pur essendo di per sé una cosa buona, è solo il pezzo di un puzzle più ampio, che include la pubblicazione dei dataset, delle review, e di tutti gli step della ricerca scientifica.
Mantenere, fintanto che sarà possibile, i servizi digitali e in presenza
Mai come ora occorre mantenere il più regolarmente possibile le attività di base della biblioteca. Va naturalmente preservata la sicurezza di tutti, con particolare attenzione ai lavoratori esternalizzati a cui è sovente delegata l’attività di distribuzione dei libri svolta a contatto con gli utenti.
Va osservato che in Italia abbiamo registrato un’enfasi del tutto condivisibile sulla necessità di riaprire le scuole, anche attraverso una politica di rinnovamento del corpo docente (messa a disposizione, mega-concorsi) mentre nulla di tutto questo è stato programmato per le biblioteche, nonostante le raccomandazioni espresse ai più alti livelli. Mantenere una biblioteca civica aperta significa offrire un computer in libero accesso a chi non ce l’ha, offrire libri che non sono digitalizzati, permettere ai ragazzi di studiare in un luogo tranquillo, sicuro e protetto. Nelle biblioteche accademiche va preservato e potenziato il servizio di document delivery e di prestito interbibliotecario, concordando con le biblioteche partner l’ampliamento della durata dei prestiti, affinché contempli le tempistiche di una ragionevole quarantena della carta.
Consolidare la migrazione di servizi e documenti verso il digitale
Sappiamo che alcune modifiche introdotte dalla pandemia nei flussi di lavoro in biblioteca, primo tra tutti il lavoro agile, resteranno anche dopo la fine dell’emergenza, con luci e ombre che questo comporta. Consolidare la migrazione dei servizi al digitale mantenendo in contemporanea attivi almeno una parte dei servizi in presenza presuppone una attività non da poco di revisione dei processi e di analisi dei bisogni.
Occorre a mio avviso, mai come oggi, non perdere di vista l’essenziale, la ragion d’essere delle biblioteche. Riorganizzare processi e servizi potrebbe voler dire mettere tra parentesi quelle attività che, ancora mentre scrivo, rappresentano un rischio per operatori e utenti (ad esempio il reference faccia a faccia), cessare senza nostalgia quelle attività che non funzionano più, crearne di nuove e più adatte alla fase in corso (primo tra tutti: migliorare la propria presenza digitale), non aver paura di sbagliare, rivedere in un’ottica nuova i punti di forza e di debolezza.
Per quanto concerne le biblioteche di pubblica lettura tutte le attività collettive (letture ad alta voce, presentazioni di libri ecc.) sono state rimodulate e portate in rete con successo, come abbiamo visto. Ma non possiamo far mancare quello che ancora è il nostro core business: facilitare l’accesso alla conoscenza attraverso ogni tipo di documento: libri, riviste, siti web.
L’immenso patrimonio cartaceo non digitalizzato delle biblioteche di conservazione è nello stesso tempo una risorsa inestimabile e un problema.
Laddove la versione digitale non sia disponibile, resta fondamentale garantire un accesso sicuro, eventualmente su prenotazione, ai documenti cartacei; in seconda battuta, programmare ulteriori campagne di digitalizzazione massiva e di qualità. Un servizio non smaterializzabile è l’offerta di postazioni con computer connessi a quelle persone particolarmente sfavorite che non hanno accesso a internet in casa (e talvolta neppure una casa).
Queste necessità cruciali ci suggeriscono come le biblioteche civiche e di conservazione non possano migrare online tutti i servizi, pena la perdita di una parte della loro utilità sociale.
Le biblioteche accademiche dovranno supportare ancora per molti mesi la didattica a distanza e fare la loro parte per contrastare “ad ogni costo” l’abbandono degli studi universitari. In questa partita diversi attori sono coinvolti: il governo ha esteso la no-tax area per le tasse accademiche, alcune università hanno ridotto i costi di immatricolazione. Le biblioteche stanno fornendo spazi studio sicuri, accoglienti, equipaggiati, con orari di apertura ampi, pur nei limiti consentiti dal rispetto del distanziamento sociale.
Un altro aspetto molto importante a cui le biblioteche accademiche da sempre prestano attenzione è offrire in prestito i testi d’esame, acquistati in copie multiple. Si tratta di una forma di welfare di ateneo, considerato che l’acquisto di tali pubblicazioni rappresenta un costo non indifferente per le famiglie. Questa attività è entrata in sofferenza con la chiusura obbligata delle biblioteche perché nelle scienze sociali e in ambito biomedico gli editori di manuali accademici, eccetto lodevoli eccezioni, non rendono disponibili i libri in formato digitale. Per alcuni editori, anche durante la pandemia, il modello di business è rimasto quello di sempre, immutabile e insostenibile: ogni studente deve comprare il “suo” libro di carta, la cui edizione cambia ogni due anni.
L’attuale normativa sul copyright ha reso impossibile, a biblioteca chiusa, riprodurre digitalmente una quantità di testo eccedente il 15% dell’opera.
Questi limiti imposti dalla legge rappresentano un serio ostacolo alla diffusione della conoscenza in situazioni eccezionali come una pandemia. Vale la pena di ricordare, a questo proposito, la presa di posizione di LIBER che attraverso un pubblico appello indirizzato alla Commissaria europea per la ricerca e l’innovazione ha sollecitato una lettura più flessibile della normativa vigente sul copyright, che consenta alle biblioteche scientifiche, durante la crisi pandemica, di fornire servizi da remoto senza temere dispute legali con gli editori. Segnaliamo anche, per ultimo, l’iniziativa di AIB, ANAI e ICOM affinché il legislatore italiano recepisca la nuova normativa europea sul copyright, che presenta nuove eccezioni e limitazioni ai diritti esclusivi, di particolare interesse per archivi, biblioteche e musei.
Per concludere
La pandemia resta nell’agenda come un’emergenza lungi dall’essere superata; tuttavia non siamo più nella “terra incognita” come nei primi giorni di marzo 2020 e abbiamo imparato alcune cose: a individuare alcune priorità rispetto ad altre, a essere resilienti, a gestire la comunicazione a distanza, a costruire una narrazione autorevole ed empatica in condizioni avverse.
Ora si tratta di sistematizzare, di mettere a regime e a sistema quanto sperimentato. Dobbiamo prepararci per attraversare l’inverno (metaforico e reale) ben sapendo che niente sarà più come prima.
Rispondere alla sfida lanciata dalla pandemia, che mentre scrivo affronta la “seconda ondata”, significa intraprendere una maratona, non uno sprint. Occorre durare non arrivare primi, collaborare non competere. Perseverare, non fare “exploit”.
Da questo punto di vista analizzare dati e testimonianze, imparare dalle buone pratiche, così come da tentativi ed errori è a mio parere fondamentale.
Il Covid-19 ci ha fatto comprendere l’importanza della sanità pubblica. Fino a che punto le biblioteche, «reparti di terapia intensiva spirituale», potranno essere considerate una risorsa importante? In che modo possiamo comunicare la loro presenza in tempi difficili?
Le biblioteche, come ho cercato di illustrare in queste note, hanno dimostrato straordinarie capacità di adattamento. Per questo ritengo che possano comunicare sé stesse presentandosi come istituzioni che non negano l’eccezionalità dei tempi, ma si sottraggono alle tonalità emotive e alle retoriche dell’emergenza, continuando con ogni mezzo a supportare le comunità e a comunicare i propri valori.