Vol. 4 n°1 - I modelli biblioteconomici

Editoriale

It depends

Il succo delle questioni che questa volta proponiamo alla vostra attenzione può essere individuato in una affermazione di Alberto Salarelli, che troverete a p. 9, nel dialogo tra lui e Anna Galluzzi che apre questo fascicolo: mi riferisco al passo in cui, parlando dell’applicazione di modelli, egli dice che «non si può operare con criteri rigidi ma con una cultura di governo che tenga nel giusto conto la realtà specifica ove ci si trova a operare. Esiste una teoria del management che fa tesoro di questo: è la cosiddetta contingency theory secondo la quale l’approccio corretto nella ricerca di soluzioni efficaci si basa non su modelli rigidamente predittivi ma su una valutazione complessiva di tutti i fattori in gioco, compresi quelli ideologici. Perciò “it depends” è sempre il punto di partenza corretto perché assicura la necessaria elasticità di visione in un mondo in continuo cambiamento e l’opportuna cautela di fronte a decisioni dettate da mode, tendenze, emotività».

La scelta di dedicare un numero della nostra rivista ai modelli biblioteconomici non presuppone, dunque, che si ritengano esportabili in modo astratto e acritico esperienze, assetti e formule che possono aver dato buoni risultati in determinate realtà a causa delle circostanze che hanno rese possibili certi risultati. Personalmente, sono profondamente convinto della necessità di un approccio laico a questi temi e vado sempre più convincendomi che anche i confini tra le differenti tipologie di biblioteca siano sempre più sfumati. Ogni anno, dedico infatti una delle prime lezioni del mio corso, che privilegia il taglio della Biblioteconomia gestionale (o, se preferite, del management delle biblioteche), a esortare i miei studenti a lasciare fuori della porta della biblioteca in cui andranno a lavorare o di cui assumeranno la responsabilità tutta la manualistica accumulata durante i loro studi universitari e le indicazioni operative che potranno aver appreso in aula: questo bagaglio sarà semplicemente il background del loro agire professionale, che dovrà partire sempre da un’analisi del contesto e individuare volta per volta le finalità da rispettare, gli obiettivi da porsi, gli strumenti con i quali cercare di raggiungerli. “Contestualizzare” dovrà essere la loro parola d’ordine, perché l’essenza della Biblioteconomia gestionale è proprio nella costruzione di una biblioteca tagliata su misura della comunità cui si rivolge. 

Per questo motivo, nel fascicolo si parla anche di evidence based librarianship, intesa come fondamento della progettazione dei servizi bibliotecari, ma al tempo stesso si mette anche in guardia il lettore rispetto a una fideistica aspettativa nei confronti di ciò che i dati possono dirci, perché i dati, senza una capacità di interpretarli e senza un robusto quadro di orientamenti culturali e valoriali, non sono sufficienti a dettarci gli obiettivi e a indicarci la strada da percorrere. Troverete anche citato un bell’articolo di alcuni anni fa, in cui Sebastiano Miccoli rifletteva sui riferimenti epistemologici che possono aiutarci a riposizionare la biblioteca nell’attuale società dell’informazione, nella knowledge society, nell’universo digitale.

Chi leggerà queste pagine alla ricerca di schemi e ricette resterà deluso. Chi invece si accosterà agli stimoli e agli spunti che speriamo di aver offerto, troverà – ci auguriamo – materiale da rielaborare e su cui lavorare per individuare qualche ipotesi da sperimentare, dopo gli opportuni adattamenti, nel tentativo di dare risposte personalizzate ai bisogni formativi e informativi dei cittadini utenti che ciascuna biblioteca è chiamata a servire. 
Giovanni Solimine